Al Winter il jazz è italiano

Umbria Jazz è alle porte. E quest’anno entra in una nuova era. Per tre ragioni essenziali. La prima: per l’ultimo anno la manifestazione si svolge sotto il mandato Cimicchi e questo, secondo il direttore artistico di Umbria Jazz, mette una ipoteca incerta sul futuro. La seconda: la rassegna musicale 2003/2004 è l’undicesima e quindi apre un ciclo nuovo pieno di aspettative, smentendo ancora una volta coloro che dipingono ogni edizione come l’ultima. La terza motivazione è “artistica”. Di musicisti di grande talento nelle dieci edizioni precedenti se ne sono avvicendati numerosi dai più noti ai semisconosciuti, che il Winter ha contribuito in prima persona a lanciare nei grandi palcoscenici del jazz internazionale. E il rapporto con Orvieto per molti di loro si è “fidelizzato”. Artisti importanti hanno scelto l’edizione invernale di Umbria Jazz per registrare i loro ultimi dischi in un contesto evidentemente consono fatto di attenzione e coinvolgimento degli spettatori (è uscito in questi giorni “Winter Tales”, l’ultimo doppio cd dei Doctor3 registrato proprio nella scorsa edizione).
Quest’anno Umbria Jazz non scontenterà gli amanti del jazz… Soprattutto di quello “nostrano”, dal momento che in questa edizione i musicisti italiani sono in netta maggioranza.
Come a Perugia nell’ultima edizione di Umbria Jazz si è puntato molto sui pianisti, (Keith Jarrett, Chick Corea e Brad Meldhau – probabilmente i migliori interpreti di piano al mondo) così anche ad Orvieto rappresenteranno un fiore all’occhiello: a cominciare da Franco D’Andrea, Stefano Bollani e Danilo Rea (quest’ultimo anche in un insolito duo piano-batteria con Roberto Gatto). Torna a grande richiesta il fisarmonicista Richard Galliano che l’edizione invernale di Umbria Jazz ha ormai “adottato”. Quest’anno il musicista francese, che ha riabilitato la fisarmonica come strumento jazz si esibirà, in un omaggio a Astor Piazzola, con due diverse formule: il trio, al quale parteciperanno come guest star Enrico Rava e Stefano Bollani e il settetto d’archi.  

Tuttavia, se i palati fini non rimarranno delusi dalle performance di musicisti accreditati a livello internazionale non si può affermare che le ultime edizioni di Umbria Jazz siano in crescendo da un punto di vista qualitativo. Il livello rimane sostanzialmente lo stesso. Un buon livello intendiamoci ma senza le novità inattese (eccezion fatta per il giovanissimo Francesco Cafiso, il fenomeno del jazz italiano scoperto da Winton Marsalis) che hanno caratterizzato le prime edizioni. Perché? E’ un problema di programmazione artistica o forse è, semplicemente, brutalmente… una questione di soldi? E’ esattamente quest’ultimo il problema. Gli sponsor sono pochi, praticamente inesistenti quelli locali. E una manifestazione che ormai costa oltre un miliardo di vecchie lire all’anno e la cui spesa grava prevalentemente sulle spalle delle istituzioni (il Comune di Orvieto in primis) ha seri rischi di prosecuzione. Se le risorse economiche necessarie al festival sono ridotte all’osso è difficile immaginare di poter richiamare i nomi più altisonanti del jazz internazionale. Oltretutto non esistono ad Orvieto luoghi in grado di ospitare oltre 500 persone per un concerto che consentirebbe di rimpinguare le casse e venire pertanto incontro agli elevati costi degli artisti internazionali (sempre più in crescita tra cachè e trasferimenti). E molti si domandano, insistentemente, se valga la pena di far uscire la manifestazione dalle mura del centro storico individuando altre strutture, (il Palazzetto dello Sport, densostrutture stabili o create per l’occasione…)

Si parlava di sponsor. Tuttavia ciò che sarebbe inoltre auspicabile è un coinvolgimento diverso (e un autocoinvolgimento) nella manifestazione da parte dei commercianti locali. Che non è solo di ordine economico. Si tratta di capire che un evento non deve calare dall’alto ma deve essere “metabolizzato” dalla città nel suo insieme, vissuto, condiviso, incoraggiato. Impreziosito; l’accoglienza, fattore determinante per una città turistica, non è solo nella ricettività alberghiera o nella funzionalità dei mezzi di trasporto (che peraltro dovrebbero collegare ancora meglio e a tutte le ore il centro storico con gli alberghi nello Scalo e in zona autostrada): perché i negozi del centro storico durante Umbria Jazz chiudono i battenti alle 20 di sera quando iniziano i concerti di maggior rilievo? Indubbiamente i costi dell’apertura “notturna” sono maggiori (personale, luce, spese varie) ma i benefici potrebbero essere cospicui. E in molte piccole e grandi città d’Italia ci sono attività commerciali che in concomitanza con i grandi eventi hanno beneficiato notevolmente dell’apertura serale. E se proprio non si vogliono aprire i negozi perlomeno si lascino accese le luci delle vetrine…

(Stefano Corradino – la Città)