Nei negozi di dischi c’è il cd di un cantante, palermitano di nascita ma orvietano d’adozione. E’ Carmelo Pagano, 61 anni, un passato musicale alle spalle di tutto rispetto. Poi una lunga pausa. Ora di nuovo sulla breccia. Un disco e un’esibizione recente al Teatro Mancinelli di Orvieto.
Voce intensa e profonda. Italiana “old style” con venature che ricordano gli chansonnier francesi.
Carmelo Pagano è un musicista: cantante e strumentista. Le due cose non sempre vanno di pari passo. E’ già una conquista quando i cantanti di oggi sanno usare la propria voce come strumento, figuriamoci se sanno suonare uno o più strumenti con i quali accompagnarsi. Lui è un buon interprete al piano e alla chitarra. Che suona con eleganza senza perseguire virtuosismi.
Carmelo Pagano è un cantante intonato. Cioè che non stona. La sua voce prende le note giuste dal basso in alto come un diapason (quella forcella di acciaio che se percossa oscilla ad una precisa frequenza). Sembrerà banale ma non è una qualità così frequente nel panorama musicale italiano. A dire il vero è piuttosto rara. Specie per gli interpreti maschili. Ci sono quelli alla “Tricarico”, il timido autore del brano sanremese “Voglio una vita tranquilla” che della stonatura ne ha fatto un punto di forza, un tratto distintivo, naif, che ben si sposa con l’originalità del personaggio. Poi ci sono gli altri, che pensano di esserlo e invece non lo sono. I vari Venditti, Ramazzotti, Antonacci, Meneguzzi, Dj Francesco… (per citarne alcuni, la lista è lunga). Ad un ascolto attento si capisce facilmente che quando cantano, scendono almeno di un bel “quarto di tono”. Carmelo Pagano afferra la tonalità e nonostante l’estensione vocale, e la non più giovanissima età, non la lascia.
Non lascia neanche la tradizione melodica con il suo modo di interpretare in perfetto stile anni 60, grazie a una formula musicale – il terzinato – che ha svolto un ruolo fondamentale all’interno della logica compositiva di un gran numero di canzoni di quegli anni.
Più che un cd è un disco.. Di quelli che fanno rimpiangere il 33 giri (o il 45) e quel suono graffiante della puntina sul vinile come della legna che arde nel camino. Che non è un suono perfetto ma è certamente più caldo.
L’amore, leit motiv dei brani di quegli anni è ancora il tema preponderante del suo ultimo lavoro. Un lavoro nostalgico, che riecheggia un tempo nel quale le emozioni si dichiaravano (e si cantavano) palesemente. Forse con qualche eccesso di retorica e di stucchevolezza, ma in modo genuino e disincantato.
Più che un disco allora è un tuffo nel passato. Non a caso il titolo è “Ricominciamo… da prima”.
(Stefano Corradino – la Città)