Comunismo e libera informazione, due parole che stanno insieme

Nell’ultimo anno ho scritto qualche editoriale per Liberazione. Ho avuto l’onore della prima pagina con alcune riflessioni sulla libertà di espressione. Non è frequente che un quotidiano dedichi a questo tema uno spazio così preminente. E non è affatto scontato per un organo di stampa che ancora oggi si autodefinisce, orgogliosamente, comunista.
Nel seguire con preoccupazione le vicende delle ultime settimane interne a Liberazione, riflettevo sul rapporto storico tra comunismo e informazione. La Cina, Cuba, la Corea del Nord, e l’ex Unione sovietica prima di loro, certamente non hanno brillato e non brillano tuttora in fatto di libertà di espressione: dalla carta stampata, alla tv alla rete sono tristemente frequenti gli episodi di censura e di repressione del libero pensiero. Da ciò se ne dovrebbe dedurre che comunismo e libertà di espressione sono inconciliabili. Eppure non è così. Se quello realizzato ha quasi sempre ostacolato e cancellato il dissenso, quello teorizzato affermava l’esatto contrario: quel Karl Marx al quale le suddette esperienze comuniste si sarebbero dovute pienamente ispirare, era uno strenuo difensore della libertà di stampa. Il suo debutto pubblico, nel maggio del 1842, avvenne come giornalista. Nei dibattiti da lui promossi sulla Rheinische Zeitung (Gazzetta renana), che lasciò proprio dopo aver denunciato la censura al quale il giornale era sottoposto, risulta come egli approvava incondizionatamente la tesi che lo stato deve garantire la massima libertà di opinione.
Qualche anno più tardi era la volta di Antonio Gramsci, padre del comunismo italiano e fondatore del quotidiano l’Unità. Di lui si è spesso trascurata l’attività giornalistica. «Non sono mai stato un giornalista professionista – scriveva – che vende la sua penna a chi gliela paga meglio e deve continuamente mentire, perché la menzogna entra nella sua qualifica professionale. Sono stato un giornalista liberissimo, sempre di una sola opinione, e non ho mai dovuto nascondere profonde convinzioni per far piacere a dei padroni o manutengoli»…
Quanti nostri colleghi, a un secolo di distanza sarebbero disposti a sottoscrivere (e mettere in pratica) queste tesi?
E’ partendo da queste riflessioni che dobbiamo fare il possibile affinché Liberazione possa superare positivamente la crisi, scongiurando così l’infausta ipotesi della chiusura. Perché possa continuare ad offrire il suo importante contributo nel dibattito italiano ed internazionale, tenendo viva la relazione tra teoria e cronaca, tra cultura e politica, tra utopia e prassi. Per elaborare quotidiamente un percorso di analisi critica sul passato ed intrecciarlo con il presente. E per contrastare, oggi in Italia, quella concezione padronale dello stato che ha l’acre sapore di un moderno stalinismo.

(Stefano Corradino – pubblicato su “Liberazione il 18 agosto 2010)