FEDERICA ANGELI: "Ho affrontato la verità guardando negli occhi i boss e sono stata minacciata di morte"

Realizzi un’inchiesta giornalistica che svela il malaffare, tocchi i nervi scoperti di un sistema criminale rivelando nomi e cognomi. E rischi la vita. E’ capitato a centinaia di cronisti italiani in questi anni, da nord a sud, di grandi o piccole testate. Giornalisti coraggiosi che hanno deciso di sfidare i poteri mafiosi difendendo il diritto dovere di essere informati. Federica Angeli (nella foto) è una di questi. Cronista di Repubblica a Roma, il 15 luglio 2013 è testimone oculare di uno scontro a fuoco fra personaggi del racket degli stabilimenti balneari a Ostia, piaga su cui stava svolgendo un’inchiesta. Racconta il fatto ai carabinieri, spiega ciò che ha visto. E da quel giorno comincia a subire gravi minacce di morte. Articolo21 l’ha intervistata.

Siamo abituati a ricondurre i fenomeni mafiosi e criminali al sud d’Italia quando ormai è chiaro che nell’intero Stivale ci sono casi di collusioni e infiltrazioni. Perché di fenomeni come quello di Ostia si parla poco? L’omertà di cui parli nel tuo articolo su Repubblica scritto con Bonini è frutto di intrecci troppo pericolosi per essere svelati?
Partiamo da un assunto imprescindibile. La mafia romana non esiste. Non esiste nelle sentenze della magistratura. Mai i magistrati romani hanno riconosciuto il 416 bis, l associazione a delinquere di stampo mafioso a Roma. Non l’hanno fatto con la banda della Magliana, con la banda della Marranella ne’ con la più recente operazione Orfeo dei carabinieri del Ros. Quando culturalmente si parte da un rifiuto della realtà e’ difficile muoversi sul campo, giornalisticamente parlando intendo. Noi di Repubblica ci siamo riusciti e proprio in questi mesi si sta celebrando il processo che vede al banco degli imputate 51 persone appartenenti a due clan di Ostia per 416 bis. Alla luce di questo comprenderete quanto e’ difficile affrontare un’inchiesta di questo tipo in un terreno giudiziariamente vergine e in un clima di paura accentuato dal non riconoscimento culturale del fenomeno.
Sono numerose le realtà del Paese, da nord a sud, in cui associazioni, giornali, prefetti, singoli cittadini sensibili chiedono (senza ottenere risposta) lo scioglimento dei loro comuni per infiltrazione mafiosa. Pensi che debba essere anche il caso di Ostia?
Non in questa fase e con questa nuova giunta. Sicuramente nella precedente amministrazione andava fatto. Perché abbiamo scoperto che se è stata possibile la scalata sociale ed economica dei clan a Ostia e’ stato grazie alla collusione della parte amministrativa e politica di Ostia. Da un anno col nuovo presidente Andrea Tassone e la nuova giunta l’aria e’ cambiata. Il presidente e’ una persona trasparente che sta lottando per mettere alla porta le mafie e per non consentire nuove infiltrazioni. Da questo punto di vista Ostia e’ al sicuro in questo momento storico.
Il presidente del Senato Pietro Grasso nel suo ultimo libro “Liberi tutti” a proposito della mafia ha parlato di “una partita complessa, al cui interno si giocano i rapporti fra mafie, potere politico e lobby economiche. Una partita che nasconde un aspetto meno conosciuto, e cioè che i boss, l’informazione, provano a corromperla e comprarla”. Condividi questo giudizio?
Lo condivido completamente. Del resto il presidente Grasso coi suoi trascorsi il problema mafia lo conosce fino nell’anima. Ci sono colleghi sul litorale romano che per troppo tempo hanno chiuso gli occhi. Non posso dire che siano stati pagati per farlo. Mi auguro non sia cosi’. Posso pero’ dirti che quando io con la mia inchiesta ho affrontato la verità guardando negli occhi i boss sono stata minacciata di morte. Se parli muori. E poi dicono che la mafia non esiste a Roma. E questa allora cos’e’?
Ritieni che intorno alla tua vicenda e a quella dei tanti cronisti minacciati ci sia stata adeguata solidarietà e sostegno da parte degli altri media e delle istituzioni? (Articolo21 ha posto spesso il problema di una “scorta mediatica” come strumento essenziale per non lasciare soli i colleghi che denunciano la mafia…)
Le istituzioni, intendo carabinieri e polizia e magistratura, sono sempre state al mio fianco in questi mesi. Non mi hanno mollato un attimo sempre al mio fianco pronti a raccogliere ogni minimo soffio che si muoveva attorno a me. La linea del silenzio mediatico e’ stata una mia scelta. Sono madre di tre bimbi e moglie. E per giunta vivo a Ostia. Quello che forse e’ mancato, fatta eccezione per il mio direttore e il mio capo redattore e pochissimi altri colleghi, e’ stato un messaggio, una mail, una pacca sulla spalla da parte della maggior parte dei giornalisti sia del mio giornale che di altri. I comunicati servono a poco quando si ha bisogno di una carezza o anche solo di un sorriso. Questo onestamente non c’e’ stato in questi dieci mesi. Ma tant’e’. Ormai viviamo in un mondo in cui.ognuno e’ preso da se stesso. Una deriva affettiva che ferisce, ma a cui ci si abitua. Ahime’,

Realizzi un’inchiesta giornalistica che svela il malaffare, tocchi i nervi scoperti di un sistema criminale rivelando nomi e cognomi. E rischi la vita. E’ capitato a centinaia di cronisti italiani in questi anni, da nord a sud, di grandi o piccole testate. Giornalisti coraggiosi che hanno deciso di sfidare i poteri mafiosi difendendo il diritto dovere di essere informati. Federica Angeli (nella foto) è una di questi. Cronista di Repubblica a Roma, il 15 luglio 2013 è testimone oculare di uno scontro a fuoco fra personaggi del racket degli stabilimenti balneari a Ostia, piaga su cui stava svolgendo un’inchiesta. Racconta il fatto ai carabinieri, spiega ciò che ha visto. E da quel giorno comincia a subire gravi minacce di morte. Articolo21 l’ha intervistata.

Siamo abituati a ricondurre i fenomeni mafiosi e criminali al sud d’Italia quando ormai è chiaro che nell’intero Stivale ci sono casi di collusioni e infiltrazioni. Perché di fenomeni come quello di Ostia si parla poco? L’omertà di cui parli nel tuo articolo su Repubblica scritto con Bonini è frutto di intrecci troppo pericolosi per essere svelati?
Partiamo da un assunto imprescindibile. La mafia romana non esiste. Non esiste nelle sentenze della magistratura. Mai i magistrati romani hanno riconosciuto il 416 bis, l associazione a delinquere di stampo mafioso a Roma. Non l’hanno fatto con la banda della Magliana, con la banda della Marranella ne’ con la più recente operazione Orfeo dei carabinieri del Ros. Quando culturalmente si parte da un rifiuto della realtà e’ difficile muoversi sul campo, giornalisticamente parlando intendo. Noi di Repubblica ci siamo riusciti e proprio in questi mesi si sta celebrando il processo che vede al banco degli imputate 51 persone appartenenti a due clan di Ostia per 416 bis. Alla luce di questo comprenderete quanto e’ difficile affrontare un’inchiesta di questo tipo in un terreno giudiziariamente vergine e in un clima di paura accentuato dal non riconoscimento culturale del fenomeno.

Sono numerose le realtà del Paese, da nord a sud, in cui associazioni, giornali, prefetti, singoli cittadini sensibili chiedono (senza ottenere risposta) lo scioglimento dei loro comuni per infiltrazione mafiosa. Pensi che debba essere anche il caso di Ostia?
Non in questa fase e con questa nuova giunta. Sicuramente nella precedente amministrazione andava fatto. Perché abbiamo scoperto che se è stata possibile la scalata sociale ed economica dei clan a Ostia e’ stato grazie alla collusione della parte amministrativa e politica di Ostia. Da un anno col nuovo presidente Andrea Tassone e la nuova giunta l’aria e’ cambiata. Il presidente e’ una persona trasparente che sta lottando per mettere alla porta le mafie e per non consentire nuove infiltrazioni. Da questo punto di vista Ostia e’ al sicuro in questo momento storico.

Il presidente del Senato Pietro Grasso nel suo ultimo libro “Liberi tutti” a proposito della mafia ha parlato di “una partita complessa, al cui interno si giocano i rapporti fra mafie, potere politico e lobby economiche. Una partita che nasconde un aspetto meno conosciuto, e cioè che i boss, l’informazione, provano a corromperla e comprarla”. Condividi questo giudizio?
Lo condivido completamente. Del resto il presidente Grasso coi suoi trascorsi il problema mafia lo conosce fino nell’anima. Ci sono colleghi sul litorale romano che per troppo tempo hanno chiuso gli occhi. Non posso dire che siano stati pagati per farlo. Mi auguro non sia cosi’. Posso pero’ dirti che quando io con la mia inchiesta ho affrontato la verità guardando negli occhi i boss sono stata minacciata di morte. Se parli muori. E poi dicono che la mafia non esiste a Roma. E questa allora cos’e’?

Ritieni che intorno alla tua vicenda e a quella dei tanti cronisti minacciati ci sia stata adeguata solidarietà e sostegno da parte degli altri media e delle istituzioni? (Articolo21 ha posto spesso il problema di una “scorta mediatica” come strumento essenziale per non lasciare soli i colleghi che denunciano la mafia…)
Le istituzioni, intendo carabinieri e polizia e magistratura, sono sempre state al mio fianco in questi mesi. Non mi hanno mollato un attimo sempre al mio fianco pronti a raccogliere ogni minimo soffio che si muoveva attorno a me. La linea del silenzio mediatico e’ stata una mia scelta. Sono madre di tre bimbi e moglie. E per giunta vivo a Ostia. Quello che forse e’ mancato, fatta eccezione per il mio direttore e il mio capo redattore e pochissimi altri colleghi, e’ stato un messaggio, una mail, una pacca sulla spalla da parte della maggior parte dei giornalisti sia del mio giornale che di altri. I comunicati servono a poco quando si ha bisogno di una carezza o anche solo di un sorriso. Questo onestamente non c’e’ stato in questi dieci mesi. Ma tant’e’. Ormai viviamo in un mondo in cui.ognuno e’ preso da se stesso. Una deriva affettiva che ferisce, ma a cui ci si abitua. Ahime’.

Oltre 1200 giornalisti minacciati in Italia negli ultimi 6 anni. Pensi che il declassamento dell’italia nei paesi parzialmente liberi sia dovuto anche a questa condizione?
Assolutamente si’.

http://www.articolo21.org/2014/05/ho-affrontato-la-verita-guardando-negli-occhi-i-boss-e-sono-stata-minacciata-di-morte-intervista-a-federica-angeli/