MONICA GUERRITORE: "Come diceva Eduardo il cinema è una lavatrice. Il contenuto è quello che conta"

Tre parti diverse in tre film e madrina del premio Mimmo Rotella, rivolto alle opere più originali dal punto di vista visivo, grafico, pittorico e delle nuove tecnologie. Sono i ruoli di Monica Guerritore a Venezia per la 65° edizione della Biennale Cinema. Nel film di Calopresti sulla tragedia della Thyssen recita il ruolo di una delle madri degli operai morti nella notte tra il 5 e il 6 dicembre. “La scelta di andare sul set di Mimmo è stata per me una sorta di “obbligo morale”. Chiunque nel suo mestiere possa contribuire a riportare al cuore cosa è successo quella notte deve farlo”.

Presenza record al Festival di Venezia. In film molto diversi tra loro. Partiamo dal film di Calopresti.
Ho accettato subito il ruolo che il regista mi ha proposto per il suo film perché mi ha convinto la chiave con cui ha voluto parlare della vicenda della Thyssen, raccontando questa tragedia filmando gli ultimi momenti della vita di ciascuno degli operai. La quotidianità e la semplicità della loro vita familiare, nelle loro stanze, la difficoltà ad alzarsi per un turno di notte… Queste fasi iniziali del film accompagnano gli spettatori con un approccio più intimo per seguire questa tragedia sociale e al tempo stesso così dirompente dal punto di vista affettivo. Nel film io sono la madre del più giovane di loro.

La morte sul lavoro è oggetto di un’attenzione speciale alla Biennale.
Giustamente. Un dramma sociale ed umano che meritava di essere raccontato. Il cinema può e deve aiutare a non dimenticare…

Gli altri due film in cui lei ha recitato sono quello di Ozpetek “Un giorno perfetto” e “il Seme della discordia” di Pappi Corsicato. Due produzioni completamente diverse.
Quello di Pappi è un film grottesco, molto divertente. io, Iaia Forte e Isabella Ferrari siamo state chiamate ad una partecipazione. Felici di farlo anche per il rapporto di amicizia con il regista.  E accompagniamo il film a Venezia.
Il ruolo che ho nel film di Ozpetek mi è piaciuto molto. Recito la parte di Mara, un personaggio misterioso ed originale che mi ha affascinato immediatamente. Un non personaggio direi, con uno sguardo fuori dal film. Che non ha una vita propria e vive in una grande solitudine. Uno sguardo affettuoso nei confronti del profondo disagio della solitudine.

C’è qualcosa che accomuna questi tre film a cui ha partecipato?
Il racconto, seppur in forma e accenti diversi. Ed è quello che mi ha spinto ad accettare questi ruoli. La voglia di partecipare ad un racconto che possa servire a me e al pubblico.

Tutti e tre i film sono, in modo diverso, di impegno sociale…
Eviterei la retorica dell’impegno sociale. Mi interessa di più il valore del racconto: parlare degli essere umani e raccontare di donne e di uomini, delle grandezze e delle piccolezze, delle crisi e delle complessità delle relazioni umane. Un film di impegno sociale può anche essere superficiale.
Raccontare la storia di un individuo la considero invece sempre un’esperienza utile ed importante. Ovviamente bisogna vedere quanto impegno e profondità c’è nel racconto.

Dai drammi individuali a quelli collettivi. In Birmania e in Tibet ci sono popolazioni vittime della quotidiana violazione dei diritti umani nel silenzio sostanziale dell’occidente. Lei, anche a teatro, ha spesso dato voce a queste disgrazie umanitarie.
Pensiamo di essere liberi e in realtà non lo siamo e sopra di noi ci sono interessi che intuiamo e non possiamo vedere. L’unica cosa che possiamo fare è continuare ad esprimerci, a pensare… Il pensiero è come il fiato. Pensare, parlare, ci serve per diventare noi stessi più riflessivi e sensibili. E poi il rispetto di ogni individuo. Se cominciamo da quelli che sono a noi più vicini poi impareremo a rispetterare anche i cittadini birmani o tibetani.

Chiudiamo con un giudizio sul cinema italiano. Che fase sta vivendo in questo momento?
Il cinema come Eduardo De Filippo è equiparabile a una lavatrice. Il contenuto è quello che conta. Ho visto film italiani bellissimi come Gomorra e Il Divo fatti da grandi autori e interpretati da eccellenti attori ci sono le possibilità. Un segnale più che positivo di conferma del talento italiano. Facciamo sì che tutti i talenti italiani possano uscir fuori e lavorare più che si può.

(Stefano Corradino – www.articolo21.org)