Palatrieste, riflettori spenti sulle morti sporche

Si ignorano ancora le cause della tragedia del Palatrieste a poche ore dal concerto di Jovanotti; ma una cosa la sappiamo, ci è ben chiara e non da oggi.

Sappiamo che siamo in un Paese nel quale di lavoro si muore. Quotidianamente. Non c’è giorno che al bollettino di guerra degli infortuni sul lavoro non si aggiunga un incidente mortale.
Sappiamo che giovani operai stavano montando un palco per migliaia di ragazze e ragazzi loro coetanei che volevano assistere ad un concerto del loro idolo, o quantomeno ascoltare due ore di buona musica fatta peraltro da un cantautore sensibile alle tematiche sociali. E forse gli stessi operai si sarebbero fermati al concerto dopo aver faticato a tirare su le impalcature.
Sappiamo che il presidente Napolitano è praticamente isolato e inascoltato nel denunciare il dramma della sicurezza sul lavoro e che la politica si allarma solo all’indomani delle tragedie più eclatanti per poi ripiombare nel silenzio.

Sappiamo che, allo stesso modo, gran parte dei media e dei giornali trascurano il tema salvo dedicargli poche righe e qualche titolo di coda dei telegiornali ma quando da Garlasco ad Avetrana, da Cogne a Scazzi si verifica un delitto privato, siamo bombardati di informazioni e di descrizioni truculente.
Sappiamo che si continua a chiamarle “morti bianche” come se si trattasse di vittime innocenti. E invece sono morti sporche, sporchissime di cui conosciamo i responsabili: la mancanza di prevenzione e di attuazione delle normative sulla sicurezza, e la logica del profitto a tutti i costi secondo la quale primum pecunia deinde felicitas.

Sappiamo che ci è voluta l’azione pressocchè solitaria di Marco Bazzoni, un operaio fiorentino la cui sensibilità e insistenza su questo tema ha indotto la Commissione europea ad aprire perfino una procedura d’infrazione contro l’Italia per non aver rispettato le norme in materia di sicurezza. E sappiamo che se l’Italia non lo farà al più presto dovra pagare una salatissima penale.
Sappiamo che potrebbe arrivare già domani la sentenza di primo grado relativa alla strage alla Umbria Olii di Campello sul Clitunno, dove il 25 Novembre 2006, morirono carbonizzati 4 operai.

Sappiamo perchè, parafrasando Pasolini “cerchiamo di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; perchè coordiniamo fatti anche lontani, e mettiamo insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro…”

Sappiamo ma ci domandiamo, perchè?