Umbria Jazz Winter, non c’è dieci senza…?

Il Jazz ha inizio. Quando saremo in edicola, la decima edizione di Umbria Jazz Winter sarà alle porte. Orvieto nei giorni di Umbria Jazz cambia. Muta l’atmosfera, non solo perché Umbria Jazz si svolge durante le feste natalizie ma perché, l’evento stesso, i musicisti, gli appassionati di questo genere che si prenotano con 3 o 4 mesi di anticipo per non perdersi la rassegna musicale, contribuiscono a trasformare il “clima” della città.
Il Jazz non è un genere facile. Non è orecchiabile né commerciale, né ricco “discograficamente” (con il cachè di un cantante pop di media importanza si paga quello di un centinaio di jazzisti di valore…). Ma è un tipo di musica che ti entra nelle ossa, un genere senza né tempo nè luogo, frutto dell’improvvisazione ma al tempo stesso così ricercato (nelle armonie, nelle melodie, nei fraseggi, perfino nelle singole battute e nelle pause) da esigere una rara competenza tecnica.  

Umbria Jazz Winter compie dieci anni. Tra i “senatori” del jazz e i nuovi talenti le proposte sono molteplici. Diversi musicisti hanno già calcato le scene dell’edizione invernale, ma altrettanti sono coloro che, alla loro prima apparizione, non mancheranno di appassionare gli amanti del jazz.
Due musicisti, molto diversi tra di loro ma accomunati da un raro “talento pianistico” saranno tra i principali protagonisti di UJ Winter. Il primo, più conosciuto, anche ai non “addetti ai lavori” è Renato Sellani che, per la sua versatilità non è facile, né tantomeno giusto “incasellare” in uno stile troppo rigido. Il fratello Adolfo ne ha condensato, a modo suo e in poche righe le caratteristiche: “pianista quaranta sigarette, soprabito nero, mani folli esaltano una musica sortilegio, un cambio con la vita, da distanze vertiginose, musica, rassegnazione coraggio, pazzo, lucidissimo, questo largo respiro, figlio, anima del pianista Renato Sellani”.  Bill Coleman, Chet Baker, Sarah Vaughan, Gerry Mulligan, Mina, Nicola Arigliano sono solo alcuni dei musicisti con cui ha lavorato.
Il secondo artista è una donna, una pianista giovanissima (23 anni) e pressoché sconosciuta in Europa. Di origine giapponese, Hiromi Uehara, pianista eccellente da un punto di vista tecnico frequenta a Boston dal 1999 il Berklee College of Music, specializzandosi in colonne sonore e composizione jazz. Ha cominciato a suonare il piano all’età di sei anni e a dodici già componeva. Si è subito interessata alla musica jazz e all’età di 17 anni ha avuto l’opportunità di duettare con Chick Corea.  Hiromi si è distinta come autrice di jingle, compositrice e arrangiatrice. Attualmente sta lavorando a contratti discografici negli Stati Uniti e in Giappone.

Non serve ricordare gli altri nomi degli artisti presenti e citarne le “gesta musicali”. Da Galliano, ospite ormai fisso delle edizioni invernali che si presenta in ogni edizione con una formazione diversa e con interpretazioni più suggestive agli Italiani, Scannapieco, Ascolese, Arigliano, Rea, Pietropaoli… che si misurano egregiamente con i colleghi europei e d’oltreoceano. Dal jazz tradizionale, al moderno, alle contaminazioni blues e brasiliane questo festival è davvero per tutti i gusti, meno “puro” da un punto di vista jazzistico ma probabilmente più consono al periodo e al pubblico (specialmente quello orvietano).

Siamo sicuri che questa decima edizione sia all’altezza delle aspettative e non deluderà la gran parte dei “turisti jazz”. Così come siamo sicuri (o comunque l’auspichiamo) che ci sarà anche l’undicesima.
Basta così? No. Vale la pena domandarsi, oggi e all’indomani della chiusura di questa edizione, quando si alterneranno i commenti positivi ai giudizi sfavorevoli sulla scelte musicali o organizzative, se Orvieto può diventare, l’ho già scritto altre volte, una piccola “capitale del jazz”!
Perché non immaginare che una volta terminata questa edizione si possano immaginare anche altri eventi, in altri periodi dell’anno, ovviamente di durata e livello inferiore al festival principale, mettendo intorno ad un tavolo esperti locali o semplici appassionati del genere, e magari qualche imprenditore non refrattario a sponsorizzarli?
Si tratta di partire da un concetto semplice ma non secondario: un evento musicale come Umbria Jazz, se adeguatamente valorizzato e “amplificato” in modo diverso durante tutto l’arco dell’anno non contribuisce solo alla crescita culturale di una città ma anche alla sua popolarità internazionale, e di riflesso al suo sviluppo economico.

(Stefano Corradino – la Città)