di Stefano Corradino e Giuseppe Giulietti
– La “Liberazione” sottintende l’emancipazione, il riscatto da ogni logica di oppressione e di sopraffazione. Per questo è un termine che non piace, e che abbiamo perfino rischiato di veder cancellato dal calendario insieme ad altre festività civili (non religiose). Questo giornale pertanto, già dal titolo, ha un nome scomodo. La dicitura “comunista” non contribuisce poi a renderlo popolare in una società (italiana e mondiale) che sembra ormai condannata ad una logica economica del pensiero unico capitalista, del profitto a tutti i costi, del “primus pecunia deinde felicitas”.
Non vogliamo neanche prendere in considerazione la possibilità che in un paese che non ha saputo risolvere i problemi del conflitto interessi, dell’autonomia del servizio pubblico dal condizionamento dei partiti e, recentemente dei tempi e dei modi di un’asta delle frequenze si vogliano condannare a morte tutti quelli che non vogliono omologarsi. La cancellazione dal panorama editoriale di testate storiche come “Liberazione” rappresenterebbe un colpo gravissimo non solo per il pluralismo dell’informazione ma anche e soprattutto perché verrebbero a mancare alcune voci che ci hanno permesso di conoscere notizie, retroscena, verità nascoste di cui saremmo stati all’oscuro.
“Liberazione” è sempre stata un polmone di libertà. Ha svelato le tante bugie sulla guerra in Iraq, ha messo in primo piano tragedie come quelle sul lavoro o i decessi in carcere che altrove, nella gran parte della carta stampata sono relegate, quando va bene, a brevi notizie nelle ultime pagine. Per questa ragione abbiamo chiesto al governo di recepire integralmente l’appello del presidente Napolitano per scongiurare tagli indiscriminati ed evitare che vengano chiuse quelle voci che affondano il loro spirito nell’articolo21 della Costituzione; strumenti di pluralismo politico, religioso, scientifico che sono difficilmente appetibili dai grandi inserzionisti.
Lo stop al finanziamento pubblico si tradurrebbe non solo nella cancellazione di esperienze editoriali con il conseguente ed ingente taglio di posti di lavoro ma la soppressione di punti di vista altri sulla società. La storica emittente “Telejato” che da sempre combatte coraggiosamente contro le mafie, la rivista “Confronti” con le sue testimonianze rivolte alla crescita del dialogo interreligioso ed interculturale. Perfino una rivista come “il Futurista”, così distante da noi… Sono solo alcune delle tante realtà che rischiamo di non trovare più in edicola o di poter seguire accendendo la televisione o la radio.
Per questa ragione il governo deve adoperarsi per una riforma organica del settore, che ponga fine a qualsiasi forma di spreco o di parassitismo ma che salvaguardi l’esistenza di voci libere e fuori dal coro. Abbiamo salutato con gioia l’uscita dalla terribile stagione berlusconiana contrassegnata da leggi ad-personam, bavagli messi ai media, censure consapevoli del fatto che l’enorme crisi economica portasse con sè inevitabili sacrifici. Ma a pagare non possono essere sempre gli stessi. Non quelle categorie di persone e di lavoratori spremuti fino all’osso e la cui stessa dignità viene quotidianamente calpestata. Non quei giornali, come “Liberazione” che tali categorie, le loro difficoltà, le ansie, la disperazione, hanno cercato di raccontare nell’assordante silenzio generale.