DIEGO NOVELLI: "Pronto? Emergenza? 118? Qui è la Thyssen… Ci sono tre che son bruciati…"

“Alla Thyssen i lavoratori non erano solo operai ma una famiglia. Erano amici. Dopo  turni e straordinari massacranti andavano a cena insieme o a ballare e poi si ritrovavano il giorno successivo… Sono morti. Bolliti. Per alcuni momenti hanno anche parlato e camminato prima di andarsene in un modo così tragico… Il risarcimento sarà cospicuo ma che costo ha la perdita di un figlio, di un marito, di un padre?” Diego Novelli, ex sindaco di Torino, parlamentare, giornalista pubblica “l’inferno della classe operaia”, libro sulla tragedia della Thyssen. “Questa tragica vicenda ti racconta di come si possa morire di lavoro piuttosto che lavorare per vivere. E di come la produzione diventi un dio pagano sull’altare del quale devi sacrificare qualsiasi cosa…” Oggi a Torino  la prima udienza del processo per la strage sul lavoro.
 
Novelli, cosa è successo quel 6 dicembre 2007?
Una delle peggiori sciagure che la mia città abbia conosciuto. Ne ho vissuto altre di tragedie in questi ultimi sessant’anni. Nel periodo in cui sono stato sindaco ho dovuto assistere a vicende gravissime come quella del cinema Statuto in cui morirono 66 persone asfissiate in un incendio, per il gas velenoso propagatosi nelle sale. O quella di due operai morti in una vasca bollente di acido. O alle ex ferriere Fiat, dove un operaio rimase trapassato da parte a parte da un tondino incandescente di acciaio…

Questa della Thyssen è la più grave?
Sì, lo è. Anche dal punto di vista della “spettacolarità”, della gravità, della atrocità: gli operai non sono nemmeno bruciati vivi, sono stati bolliti. Per alcuni momenti hanno anche parlato e camminato. Una bolla di olio bollente li ha investiti e li ha ridotti in quelle condizioni. E poi la lunga agonia: l’ultimo dei sette è morto dopo 25 giorni di atroci sofferenze…

Racconti varie vicende legate alla fabbrica. Un’azienda in via di smantellamento che hanno continuato a far produrre…
E tutta quella serie di casualità che si sono prodotte: ad un certo punto arriva un’impennata di lavoro e si decide di mettere in movimento una linea, la quinta, che era la più disarmata. Lì si trovano questi operai. Uno era stato appena assunto dopo un periodo di precariato, l’altro era prossimo alla pensione. Tutta una serie di casualità e di fatti che rendono ancora più assurda e inaccettabile la morte.

Perché un libro sulla Thyssen?
L’idea mi è venuta da alcune mise en scene di Marco Paolini e infatti penso che questo lavoro potrebbe diventare un progetto molto forte dal punto di vista televisivo. Perché non abbiamo fatto una storia ma abbiamo montato una serie di quadri come fosse una sceneggiatura. Insieme a quattro giovani cronisti, abbiamo ricostruito la storia di ogni operaio deceduto attraverso la testimonianza della famiglie. Sette lunghe storie dei singoli caduti, raccontate dalle sorelle, dalle madre, dalle mogli, dai figli….  
Il libro parte dal verbale di una telefonata, quella degli operai ai vigili del fuoco: “venite subito alla Thyssen…”…

La stessa scelta fatta da RaiSat Extra nel comporre il documentario tratto dal testo scritto da Ezio Mauro, direttore di Repubblica
Una telefonata che dà i brividi…

Gli altri puzzle salienti del libro
Pezzi di verbale della commissione Lavoro del Senato che a Torino fa i primi interrogatori, poi le testimonianze dei medici degli ospedali che hanno rinvenuto i corpi. E ovviamente le parole dei familiari. Alla fine stralci di testimonianze di questi sette lavoratori morti, che diventa anche uno spaccato di questa classe operaia I cui tratti distintivi sono molto diversi da come siamo abituati ad intenderla
Una classe operaia che non rispecchia quella tradizionale che conosciamo. Molti i giovani. Con il piercing, i pantaloni firmati. Operai che guadagnavano molto bene anche rispetto agli operai di altre fabbriche.

E che facevano straordinari incredibili, anche fino a 16 ore al giorno
Questo li rendeva parte di un percorso di vita comune, non solo lavorativo. La continua turnazione, i numerosi straordinari li rendevano amici fuori dagli schemi normali di un tradizionale lavoro di fabbrica. Si vedevano sempre tra loro. Se uscivano alle dieci di sera magari andavano a mangiare una pizza, o in discoteca e tiravano fino a tardi per poi riprendere il pomeriggio del giorno successivo facendo anche due turni di seguito. Nella sua specificità questa storia ha una sua peculiarità che non avresti ritrovato da altre parti.

Ezio Mauro ha definito questa tragedia uno “scandalo della democrazia”
Sono d’accordo, e senza fare retorica o del vecchio massimalismo questa vicenda ti racconta di come, nella società occidentale contemporanea si muoia di lavoro piuttosto che lavorare per vivere. Ci vedi tutto il volto non umano del capitalismo. Le aziende che considerano la forza lavoro come l’ultima ruota del carro. La produzione diventa dio pagano sull’altare del quale devi sacrificare qualsiasi cosa. La fabbrica che uccide, che brucia. Tra l’altro avrei voluto dare un altro titolo al libro: “l’acciaio che uccide” ma l’editore ha voluto titolarlo “l’Inferno della classe operaia”, titolo un po’ anni ’30 che non mi è molto piaciuto, ma vabbè…

Sei stato sindaco di Torino ma anche membro del Parlamento, il luogo dove si fanno le leggi. Anche quelle sulla sicurezza contro gli infortuni. In questo caso le normative erano insufficienti?
No, le leggi c’erano ma non sono state rispettate. E qui vengono fuori con grande evidenza le responsabilità delle Asl, i mancati controlli, i balbettii degli ispettori. Riportiamo nel libro dei verbali penosi. Pochissimi gli addetti alle ispezioni. Se le regole fossero state rispettate non sarebbe successo niente. Anche il sindacato ha la sua parte di responsabilità.

In che termini? Non ha denunciato a sufficienza la situazione di precarietà della fabbrica?
Guarda, premesso che noi non abbiamo assolutamente cercato di fare un libro “partigiano”, dipingendo i padroni come cattivi, gli operai buoni… Ma abbiamo spesso rilevato delle contraddizioni lampanti. Come quelle in cui viene a trovarsi il sindacato, che se spinge per rispettare le regole ed essere più severo accelera la chiusura della fabbrica.

Che in effetti doveva chiudere sei mesi prima. Tragedia oltremodo amara per i sette torinesi e le loro famiglie.
Tu dici torinesi ed è giusto. Lo erano tutti ma nessuno lo era in realtà. Tutti figli di immigrati: i genitori erano venuti su trent’anni fa dal sud, dalla Calabria, dalla Sicilia. Famiglie che avevano già sofferto le umiliazioni dell’emigrazione, la città che li rifiutava e che metteva i cartelli negli androni con su scritto “non si affitta ai meridionali”…

Il governo attuale ha puntato tutto sul tema della sicurezza in campagna elettorale. Ivi compresa quella sul lavoro?
Non direi proprio. Basti pensare che si vogliono attenuare le sanzioni alle imprese in cui si possono verificare gli incidenti…

Il ministro Sacconi ha parlato di un piano straordinario per combattere le morti bianche
Sacconi? Quand’era socialista ai tempi di Craxi era già un personaggio da prendere con le molle. Figuriamoci adesso. Ma non è solo un problema del governo. Prendiamo la Confindustria…

Nella sua relazione di insediamento la Marcegaglia aveva inserito un riferimento al tema della sicurezza sul lavoro…
Questa Marcegaglia è molto carina ma per adesso si limita a pontificare… Peccato, perchè avevo apprezzato il gesto della Confindustria siciliana di espellere coloro che accettavano il pizzo. Poi nient’altro…

Cosa succederà per le famiglie dei sette operai morti?
Riceveranno 14 milioni di euro (Novelli è stato messo tra i componenti di un comitato di 6 saggi che devono ripartire i fondi, ndr). Ma in galera non andrà nessuno sicuramente. Le mogli rimangono vedove, i figli restano orfani, le madri hanno perso i figli… Almeno avranno i soldi… Ma la vita di certo non gliela restituiscono.
 
Martedì 2 luglio il primo processo. A soli sei mesi dalla morte degli operai. Un raro caso di rapidità nei procedimenti giudiziari.
Questo va a merito della magistratura torinese. Raffaele Guariniello si rivela un personaggio incredibile. Nel 1972 fu quello che scoprì il caso delle 300mila schedature alla Fiat, lo spionaggio dei dipendenti e delle famiglie. Un pretore d’assalto, ce ne fossero…

Oltre a sindaco e parlamentare tu sei stato un giornalista. Quale deve essere il nostro ruolo nel trattare vicende come queste? Cosa può fare l’informazione? Articolo21 ha proposto che in occasione del processo la Rai lo trasmetta in diretta e che siano trasmesse in prima serata le produzioni migliori su questo tema, come “Invisibili” quella realizzata da RaiSat Extra…
E’ una scelta che condivido ma mi perdonerai se chiudo con una nota critica nei confronti della “categoria”, partendo dall’affermazione che io non mi considero un giornalista ma un cronista e rivendico questa mia peculiarità. Il giornalista è spesso “svolazzante”. Salta da una cosa all’altra con la pretesa di metterci del suo.

Non può? Deve limitarsi a raccontare i fatti?
Come diceva Gramsci si deve conoscere la realtà per cambiarla. Ma per conoscerla devi studiarla, devi entrare dentro le cose. Senza aggiungere niente. Tu trasferisci al lettore quello che hai appreso, quello che hai letto, quello che hai visto con i tuoi occhi. Mentre tutti vogliono raccontare i retroscena. Io li odio. Come fai a raccontare una cosa che non hai né visto né sentito… Il cronista deve riferire i fatti.

Immagino che questo non valga solo per l’informazione sulla sicurezza…
Ovviamente. Pensiamo per un attimo ad un caso completamente diverso, edulcorato e mistificato: il processo Mills a carico di Silvio Berlusconi: c’è un signore che dice di aver ricevuto 500mila sterline per dire il falso. Questo è un fatto. Poi Berlusconi lo ritratta e fa benissimo. Ma il processo si deve fare per accertare se sia vero o meno. Il dramma è che in questo contesto i giornali negano il fatto e scrivono che lui è un perseguitato. Che ci sono 780 magistrati che si sono occupati di lui. Non che si presume abbia versato le 500mila sterline. Ecco il punto: il giornalista, o meglio il cronista, vale per gli infortuni sul lavoro o per altre questioni deve accertare le cose, conoscerle, deve andare sul posto, non fare le cose per sentito dire.
E voi di Articolo21 dovete fare una battaglia feroce contro il pessimo modo di fare informazione in questo Paese…

(di Stefano Corradino – www.articolo21.org)