GIOVANNI SCANAVINO (VESCOVO): "Un altro Natale è possibile"

Pandoro, panettone, torrone, alberi addobbati… Non è la lista della spesa. E’ il Natale, o almeno è il Natale propagandato, quello della pubblicità, quello degli ipermercati che iniziano due mesi prima ad esporre prodotti accattivanti. La festa dei consumi. Ma dovrebbe essere qualcos’altro. Almeno per chi ha una fede religiosa profonda. “Anche per gli altri!” – sottolinea in un’intervista Giovanni Scanavino, Vescovo della Diocesi Orvieto-Todi in cui parla di consumi, laicità, guerra, del suo rapporto con Orvieto e del primo grande rivoluzionario della storia…

Siamo condannati a vedere trasformate anche le feste religiose in meri eventi consumistici?
Purtroppo con questo consumismo crescente dobbiamo farci i conti. Fa ormai parte della nostra cultura ma è un aspetto negativo della società al quale però dobbiamo reagire contrapponendo i valori, quelli di profonda umanità che sono il fondamento della dottrina cristiana.

Un compito difficile al quale la stessa Chiesa non sembra o non vuole (talvolta) rispondere.
E’ innegabile che la Chiesa ufficiale, la chiesa docente non riesce a sfondare nella mentalità comune per trasmettere i valori più positivi. E’ proprio da qui che bisogna ripartire. Il Dio in cui crediamo si è fatto uomo e prossimo nostro per farci conoscere il valore della sua umanità. Questo è il significato del Natale.

Un altro Natale è possibile?
E’ un sogno, ma l’ultima cosa che dobbiamo fare è impedirci di sognare.

Non sarà che si è troppo attaccati ai simboli (a partire dalla Chiesa stessa) e meno ai messaggi?
I simboli sono importanti, vanno conservati come una tradizione antichissima. Ma bisogna andare al di là del simbolo, evitando di trasformare i valori in rappresentazioni folkloristiche.

Restando ai valori. La pace per lei è uno di questi?
L’idea della pace è  un impegno imprescindibile. E per un cristiano non può essere disgiunta dal significato del Natale. E Orvieto è una città che ha scelto di praticarla. Lo stesso collegamento di Umbria Jazz, manifestazione artistica e di grande respiro, con la giornata della pace del primo dell’anno è il simbolo di una tensione civile e morale importante.

Significa andare al di là della semplice testimonianza. “Mai la guerra può essere considerata un mezzo da utilizzare per regolare i contenziosi fra le nazioni”. E’ un giudizio “politico e programmatico” forte. Ed era di Giovanni Paolo II…
Giudizio che sposo in pieno. Il no fermo alla guerra si deve praticare, perseguire. Bisogna combattere per la pace. “La guerra – affermava giustamente Papa Woytila – è una sconfitta dell’umanità”. E’ triste pensare che la politica non si adoperi a fondo per la pace o peggio ancora voglia trarre dei vantaggi dalla guerra.

Lei è stato contrario alla guerra in Iraq.
Le conseguenze dell’intervento in Iraq sono certamente più negative che positive. E poi ci sono le centinaia di guerre dimenticate in ogni parte del mondo.

Il rapporto tra politica e chiesa sta attraversando una fase delicata. La chiesa è accusata di ingerenze nella vita politica.
Una interpretazione riduttiva.  Personalmente io credo fermamente nella laicità dello Stato. La chiesa a mio avviso non vuole fare politica ma vuole esprimersi secondo la verità della sua identità. Fa semplicemente il suo “mestiere”, quello di promuovere i grandi valori della vita.

Veniamo ad Orvieto. Che bilancio trae del suo rapporto con la sua nuova città? La sua relazione con la politica, le istituzioni, ma soprattutto con la gente?
Sono molto contento del rapporto che gli orvietani hamnno con me. Quando il dialogo è più familiare è più facile esprimere le proprie opinioni. E sono dell’avviso che dobbiamo trovare più occasioni comuni per dibattere piccoli e grandi temi che interessano la nostra comunità.

Lei sta “scendendo in campo”…
Credo che su numerose questioni che riguardano tutti servano tavoli di discussione complessivi. Parlando col Sindaco recentemente ci siamo chiariti sul fatto che sarebbe ideale un consiglio comunale allargato dove tutti possano intervenire.

Lei prenderebbe la parola?
Certamente. Verrei ed interverrei perché penso che la partecipazione civile abbia un valore altissimo e mi sembra giusto che entri nel dibattito lo stesso Vescovo.

Qualcuno potrebbe vederla come un’ingerenza. Il potere spirituale che vuole condizionare quello temporale…
E’ tutto tranne che un’ingerenza. E’ il desiderio di una spinta in avanti. La ricerca per una città con grandi e giuste ambizioni ad essere più vivace e con una immagine più convincente a livello nazionale e internazionale.

Proprio pochi mesi fa in un intervento su un quotidiano Lei ha movimentato il dibattito locale parlando di Orvieto “bella addormentata”. La Rupe negli ultimi mesi ha dato cenni di risveglio?
Ce ne sono stati. Se non altro perchè tutti hanno manifestato il desiderio di discutere e di collaborare. La presa di coscienza è già un cenno di risveglio importantissimo.

Con quali problemi dobbiamo fare i conti?
Con la disoccupazione, con i problemi esistenziali dei giovani…

Sono questioni che riguardano un po’ tutte le città…
Sì, ma noi siamo ad Orvieto e dobbiamo affrontarle qui. Affrontare il tema di una presenza giovanile meno presente e poco viva e dell’”esodo” a decine di chilometri per trovare lavoro. Non ho mai detto che Orvieto è un museo, come molti hanno malamente interpretato. Dico però che serve una iniezione di vivacità, intellettuale e professionale a questa città per evitare che lo diventi. Una città i cui i giovani siano protagonisti e non costretti a migrare.

Quando si discute della Palombella Orvieto si vivacizza. Anche in questo Lei ha contribuito…
Penso che la questione della palombella sia da affidare completamente alla competenza dell’Opera del Duomo. La decisione pertanto l’ho lasciata a loro che hanno avviato un dibattito serio e democratico con tutte le forze politiche e sociali, dai Verdi agli animalisti, ai sostenitori della tradizione.

E la sua personale opinione qual è?
Che non si può rimanere arroccati ognuno dietro i propri steccati. Vale per la Palombella ma non solo… Quello che mi auguro è che non si litighi proprio il giorno della Pentecoste che dal punto di vista cristiano ha un importantissimo valore di universalità.

Possiamo chiederle per concludere un messaggio di auguri agli orvietani?
Molto volentieri. Sono tanti i problemi che angosciano la nostra collettività. Le malattie, la difficoltà quotidiana di sbarcare il lunario. E’ proprio spinti dai problemi di tutti i giorni che dobbiamo trovare una profonda unità. Che non significa “volemose bene” ma scoprire la capacità di affrontare collettivamente, e non individualmente, le difficoltà che ci troviamo di fronte. Partendo dal messaggio di Cristo che è veramente rivoluzionario perché vuole aiutarci a recuperare la nostra umanità e il senso di giustizia del mondo.

Rivoluzionario? Non mi dica che Cristo era comunista…
Se uno leggesse a fondo cosa Cristo sosteneva a un certo punto anche il più “estremista” finirebbe per dire “basta, sei troppo rivoluzionario”. E allora sì, comunista nel senso totale e originario del termine. Un comunista non “di maniera. Ma umanitario”.

Guardi che lo scrivo…
Lo scriva, lo scriva pure…

(Stefano Corradino – La Città)