"Italy in a day – Un giorno da italiani". Intervista a GABRIELE SALVATORES

Il primo “social film italiano” si prepara a sbarcare nelle sale e in tv. Il 23 settembre “Italy in a day – un giorno da Italiani” di Gabriele Salvatores sarà nelle sale e il 27 settembre in onda in prima serata su Rai3. Un film- mosaico che racconta l’Italia come è stata vista dagli italiani nelle ventiquattro ore del 26 ottobre 2013. Di video ne sono arrivati numerosissimi, ben 44.197 che corrispondono ad un totale di oltre 22mila ore. Successivamente ne sono stati selezionati e montati 632 per un totale di 75 minuti, il tempo di durata del film. “Oggi, sommersi da qualsiasi tipo di immagine, non è forse il montaggio, e cioè il racconto, la vera anima di un film?” dice Gabriele Salvatores intervistato dal Radiocorriere Tv.

Come nasce l’idea di “Italy in a day”?
L’idea in realtà è venuta a Ridley Scott che ha realizzato nel 2010 “Life in a day” indirizzato alla comunità di youtube e il risultato è stato un film divenuto una sorta di format. E così l’”Indiana Production” e Rai Cinema hanno acquistato i diritti e mi hanno chiesto di realizzarlo per l’Italia.  

Qual è la differenza con l’opera del tuo collega britannico?
Essenzialmente quella di aver utilizzato la televisione pubblica invece del social network. La Rai è servita moltissimo da traino per divulgare la notizia del progetto! L’altra differenza è stata quella di centrarlo direttamente sull’Italia e sulle storie delle persone.

Di video te ne sono arrivati oltre 44mila e cioè tre volte di più di quelli che ha ricevuto Ridley Scott. Che significa?
Che siamo un popolo di esibizionisti (ride) o, più probabilmente, che abbiamo bisogno di farci ascoltare!

Districarsi con tutto questo materiale sarà stata una bella impresa.
E’ così. Era fondamentale riuscire ad orientarsi. E’ vero che il fil rouge era scandito da una linea narrativa temporale ma dovevamo trovare altri nessi. E a questo progetto hanno lavorato in tanti compresi una quarantina di ragazze e ragazzi di scuole di cinema e comunicazione che hanno fatto una prima scrematura.

Cosa ha prevalso nella moltitudine dei video? Aspetti più sociali o storie individuali?
Molti hanno presentato video su temi sociali, sull’ambiente, sulla mancanza di lavoro ma la gran parte, e questo per me è l’aspetto più bello e nuovo, sono i filmati sulla propria vita, i desideri, i sogni, le paure. Persone che reclamano il diritto di avere una vita dignitosa ma che sentono la difficoltà di vederselo riconosciuto.

Il video più toccante?
Quello di un figlio e una madre malata di Alzheimer. Lui si chiama Gabriele – e forse anche per questo mi ci sono immedesimato! – e lei lo riconosce appena. Lo scambio fra i due: “Chi sei?” “Gabriele mamma!” “Hai scelto il nome di un angelo”. “Me lo hai dato tu questo nome”. “Ma sei davvero un angelo? O forse non ancora ma puoi diventarlo”. Davvero molto toccante!

E il più divertente?
Una coppia a letto, ognuno col suo libro. Lei a un certo punto spegne la luce e gli dice “adesso dormo sono stanca”. Lui: “ti dispiace se io continuo a leggere?” Lei risponde che può farlo e lui comincia la lettura ad altissima voce! Ci ha davvero fatto molto divertire ma a raccontarlo perde molto, va visto!

Con il telefonino si diventa fotografi e registi?
Non penso basti avere una macchina fotografica per diventare un fotografo, figuriamoci un telefonino. Il selfie è un’istantanea ma la fotografia o il cinema presuppongono un pensiero, un’emozione, una ricerca, una vera e propria scelta “di campo”. Per questo serve lo sguardo di un regista o di un montatore che annodi i fili delle storie individuali. E’ questo che abbiamo cercato di fare e penso con un buon risultato.

I video che vi sono arrivati sono di buona fattura?
Una qualità molto buona delle immagini. Mi ha positivamente sorpreso che la gente sta imparando ad usare strumenti come il telefonino e l’i-pad sfruttandone a pieno le potenzialità.

Articolo di Stefano Corradino pubblicato sul Radiocorriere Tv