L’inutile strage. Intervista a MARINO SINIBALDI

“Sentiero di pace 2014”. Così titola il ciclo di programmi di Radio2 e Radio3 dedicati al centenario della prima guerra mondiale. Con il direttore del terzo canale della radiofonia Marino Sinibaldi ci addentriamo in una riflessione sul valore della memoria.

Qual è l’obiettivo di un progetto così articolato sulla prima guerra mondiale? Quello della conservazione della memoria?
Certamente. Tuttavia non si tratta solo di conservazione ma anche di manutenzione della memoria. Perché la memoria va curata e non degradata. Perché la memoria di eventi traumatizzanti come la guerra genera reazioni diverse. L’obiettivo è quindi arricchire la memoria della guerra e non renderla, fossile, immobile.

Che rapporto ha quell’epoca con la nostra storia attuale?
Ci sono due aspetti. Il primo è la dimensione europea. Parliamo di prima guerra mondiale ma in realtà è stata una guerra che ha cambiato lo scenario europeo, che ha iniziato una lunga spirale, praticamente ininterrotta fino al 1945 e che noi abbiamo chiuso, tutto sommato, con la costruzione dell’Europa. E’ evidente pertanto l’attualità di questo anniversario che coincide con il semestre italiano e all’indomani di elezioni europee importantissime.  Dopodiché c’è un dato culturale molto importante, un elemento di frattura violenta sul piano delle mentalità, perfino superiore a quello della seconda guerra mondiale. Perché ne esce una società moderna basata sull’automazione, sul mito della giovinezza, sulla violenza. Elementi culturali decisivi che segneranno tutta la storia del Novecento e che non si sono esauriti. Pensiamo al mito della velocità che continua anche oggi tanto da diventare un elemento persino politico. Quella velocità che era al centro del Manifesto Futurista che anticipa la prima guerra mondiale. E non a caso i futuristi erano stati tra i primi interventisti.

La guerra come spartiacque della storia e della società
E’ la guerra che ci ha “abituato” ai massacri. “L’inutile strage” come giustamente la definì papa Benedetto XV. Stragi di proporzioni inaudite che in qualche modo ci hanno anestetizzato. Le battaglie con i gas asfissianti della prima guerra mondiale prefigurano Hiroshima.

Velocità e tecnologia. La tv ancora non c’era in Italia e nemmeno la radio intesa come mezzo di comunicazione. Ma le radio-comunicazioni furono essenziali sul fronte bellico. 
Guglielmo Marconi attribuiva alla radio un carattere pacifico perché dal suo punto di vista questo strumento di comunicazione che metteva in relazione popoli diversi non avrebbe potuto che far valere le ragioni della pace. Se si pensa invece che quell’invenzione fu usata per comunicare più velocemente sui campi di battaglia ci si rende conto come le tecnologie possono essere ambivalenti. Pensiamo anche ai treni. Si supponeva potessero evitare le guerre e invece la ferrovia fu lo strumento con cui, più velocemente, si portavano al fronte i soldati. Molti strumenti della modernità, potenzialmente pacificatori e positivi, hanno svelato anche la loro natura avvelenata. Questo deve esserci da insegnamento per un uso corretto delle tecnologie.

Alle scuole superiori si arriva a malapena a studiare la prima guerra mondiale. Pensi che un progetto come questo possa servire ad affiancare il tradizionale materiale didattico?
L’elemento pedagogico di iniziative come queste è fortissimo. Per la scuola, ma anche per quella dimensione di formazione permanente che ci riguarda tutti. Penso che un progetto come quello su “la Grande Guerra” possa essere utile per due fattori: restituire la profondità della memoria e il senso storico della trasformazione, e a non rimuovere l’elemento tragico della guerra. Perché  è la prima volta che una guerra, unita alla tecnologia e all’odio nazionalista scatena una capacità distruttiva simile. Non bisogna perdere il senso delle corporeità travolte nella guerra, né dimenticare la ferocia con la quale le masse contadine venivano mandate al fronte. E conservare il senso della giustizia e della verità della storia, non solo per il passato ma perché ci prepara ad affrontare e guardare meglio ai conflitti di oggi. E di domani.

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