"Mi disgustano le mostruose diseguaglianze". "Musica ribelle? Ormai solo i rapper…" Intervista a EUGENIO FINARDI

“…Devo solo ritrovare
un nuovo modo di lottare
per la nostra dignità
e una vita che sia umana
più libera e più sana
di giustizia e verità
guarda i nostri figli spenti
dal vuoto che han davanti
senza possibilità”

E’ un Eugenio Finardi sospeso fra rabbia e rassegnazione quello che sta attraversando l’Italia per presentare il suo ultimo lavoro discografico. Un moderno Savonarola, fustigatore dei vizi e degli abusi del nostro tempo. Non a caso “Come Savonarola” è uno dei brani più coinvolgenti del disco “Fibrillante”. “Che non è un titolo ma una diagnosi” spiega il cantautore milanese al Radiocorriere tv. “Nasce dal fatto che ho sofferto di fibrillazione atriale negli anni scorsi. Una condizione che ti fa sentire sempre stanco, senza forza, con la pressione bassa e la testa che gira. Ma con una piccola scossa elettrica, sono tornato alla vita piena. E questa è una metafora significativa di quello che stiamo vivendo: se veramente le coscienze tutte si dessero una scossa riusciremmo veramente a interrompere questo fiume di parole che ci sta seppellendo, di banalità e di false verità”.

Dall’11 al 26 ottobre Finardi torna al suo primo amore, la radio: per tre settimane sarà alla guida di Hit Parade, il programma storico di Radio Rai che Lelio Luttazzi fece entrare nel 1967 nelle case di tutti gli italiani e che Radio2 rilancia, in un formato nuovo e assolutamente originale. Questa volta a presentare sono direttamente i grandi protagonisti della musica italiana. E Finardi non poteva mancare. 

Calchi i palchi dei concerti ormai da decenni. Come è cambiato il pubblico e anche il rapporto con i tuoi sostenitori? 
Negli anni settanta c’era un rapporto molto conflittuale, altamente dialettico fra il pubblico e il palco. Adesso è di grande affetto. Ed è cambiata anche la mia relazione con il pubblico. Come tutti i ragazzi quando ero giovane ed arrogante pensavo di essere io a fare un piacere a loro andando a suonare. Ora mi rendo conto, dopo quarant’anni di carriera, quale onore ed enorme privilegio sia il fatto che così tanta gente si disturbi e venga a sentirmi, magari con la famiglia. E’ un grande onore. E non so quanti artisti se ne rendano conto.

Dici “vengono ai concerti con la famiglia”. Sei indubbiamente un artista intergenerazionale  
C’è un pubblico che è cresciuto con me, qualcuno è anche più vecchio di me e molti sono più giovani addirittura delle canzoni che ascoltano. Io ho la fortuna di essere uno che viene scoperto. Non sono un mito generazionale come le “boy band”. E non sono legato ad un’epoca anche se gli anni settanta e ottanta sono stati ovviamente quelli “di gloria”. Ci sono alcune delle mie canzoni che sembrano avere una funzione, sembrano servire e vengono scoperte in alcuni momenti della vita. Qualcuno che perde il lavoro può trovare un appiglio nel brano “Cadere e sognare”. Una ragazza timida che si sente meno bella e desiderata delle sue amiche può ascoltare “Arianna”, un mio pezzo degli anni ottanta, e riconoscersi. Penso di essere uno di quei fortunati musicisti che vengono scoperti di generazione in generazione a seconda dei casi della vita.

Hai definito “Fibrillante” un disco rock arrabbiato
Se non ci si incazza in questo periodo quando lo si deve fare?

Cosa ti fa arrabbiare di più?
Il tentativo di convincere che un’ideologia perniciosa come il liberismo sia ineluttabile. Mi disgustano le mostruose diseguaglianze. Sembra di essere tornati ai tempi dei Medici o dei Borgia quando pochi Principi detenevano tutta la ricchezza e tutti gli altri arrancavano o soccombevano. Io sono cresciuto in una fase storica in cui l’eguaglianza sociale era un valore primario, ci si immaginava un futuro in cui il benessere sarebbe stato di tutti. Mentre adesso pochissimi detengono oscenamente la ricchezza e gli altri fanno fatica a tenere un tenore di vita decente.

Oggi esiste ancora una musica “ribelle?
Sì, il rap. Sono i rapper i nuovi ribelli e non a caso hanno tanto successo tra i ragazzi. I cantautori sono diventati piacevoli cantori del piccolo quotidiano, delle piccole cose. I grandi temi li affrontano i rapper a parte qualche eccezione jurassica come me.

Dall’11 al 26 ottobre sei alla conduzione di “Hit parade” su Radio2, un ritorno alle origini?
Per la radio provo un amore sconfinato. Nasco come operatore radiofonico. Fui il primo nel ‘73 a mandare in onda in Rai Bob Marley o band come Weather Report. Io e Carlo Massarini ci contendiamo il primato di pionieri delle radio libere. L’esperienza di “Hit parade” è stata davvero piacevole e divertente. E credo che la radio sia fondamentale anche se la dittatura delle playlist, pezzi brevi decisi a monte, impedisce ogni spontaneità. La radio dovrebbe essere lasciata più libera. E in questo senso Radio Rai è diventata, paradossalmente, una delle più libere! 

* Intervista di Stefano Corradino pubblicata sul Radiocorriere Tv