PAOLO POGGIO: "Tra le macerie ho trovato la vita"

Charlotte e Charlenne. Due ragazze italo filippine di 14 e 17 anni. Sono nate a Roma ma è nelle Filippine che vivono. Con i nonni. I genitori lavorano in Italia e spediscono loro i soldi con la speranza di un futuro migliore per le figlie. Quando il tifone Haiyan si abbatte sulle Filippine, i genitori perdono ogni tipo di contatto e si dannano l’anima per avere qualche notizia, per sapere se stanno bene, se da quell’inferno si sono salvate. Si rivolgono così alle istituzioni, sperando di essere ascoltati. Il presidente della Camera Laura Boldrini raccoglie l’appello, e chiede a tutti di adoperarsi per trovare le due ragazze disperse. Paolo Poggio e Paolo Mancinelli, giornalista e tecnico di Rainews sono lì da pochi giorni per raccontare la tragedia. Sovvertono i loro programmi e si gettano alla ricerca di Charlotte e Charlenne. Paolo Poggio racconta al Radiocorriere Tv l’odissea del viaggio e il suo lieto fine.

Sei arrivato l’11 novembre nelle Filippine, a tre giorni dal tifone che ha devastato il Paese. Qual è la prima immagine che ti ricordi?
La distruzione totale. Sembrava fosse scoppiata una bomba atomica, con una onda d’urto che aveva spazzato via tutto. In una zona dove ci sono costruzioni ma anche tante baraccopoli. L’impatto con la morte, decine di cadaveri abbandonati lungo le strade. La sconvolgente convivenza tra la vita e la morte. In un punto vedi alcuni cadaveri sulla strada e accanto i bambini che giocavano.

E così hai cominciato a raccontare ciò che vedevi.
In una situazione come quella sono le storie che ti vengono incontro. Devi togliere più che mettere, selezionare le cose più importanti e raccontarle nel modo giusto.

Come hai appreso la notizia delle due bambine italiane disperse?
E’ stato tutto casuale. Le comunicazioni via internet erano saltuarie ma riesco a leggere la mail della mia collega Sara Nesci che mi seguiva per alcune ore della giornata.  Mi informava di queste due adolescenti, Charlotte e Charlenne nate a Roma i cui genitori, che lavorano da tanto tempo in Italia, da giorni non ricevevano più notizie. La sera come d’abitudine, con Paolo Mancinelli, il tecnico che mi accompagnava, facevamo il punto e programmavamo la giornata successiva. Decidiamo così di provare ad andare a Mayorga per vedere se riuscivamo a trovare le due ragazzine. Prepariamo l’attrezzatura e partiamo verso le 6 di mattina. 

Mayorga era praticamente nell’epicentro del tifone.
E’ così. E nel tragitto scopriamo che la distruzione era ancora peggiore di quella che avevamo visto a Tacloban, la città dove sostavamo. Dopo circa due ore di viaggio arriviamo in un piccolo paesino semidistrutto. Tra le rovine raggiungiamo la stazione di polizia. Chiediamo se conosconoo due bambine di nome Charlotte e Charnelle nate a Roma. Non sanno chi sono ma ci dicono che forse, al Comune, qualcuno potrebbe aiutarci. Lì, tra le persone che preparano i pacchi per i viveri ci sentiamo rispondere da una signora: “le conosco, sono vive, abitano a breve distanza”. E ci accompagnano.

Lì trovate subito le due bambine probabilmente molto confuse e preoccupate.
La prima che incontriamo è Charlotte. Intimidita e impensierita per quello che le stava accadendo. Nessuno della sua famiglia era riuscito ad avvertire i genitori a Roma perché le comunicazioni telefoniche, mobili e fisse, erano andate fuori uso. E così tiro fuori il telefono satellitare che avevo in dotazione e li metto in comunicazione.

Deve essere stato emozionante.
Molto! Immagino cosa possa significare per un genitore non avere per giorni notizie dei propri figli in una zona devastata dal maltempo e lastricata di cadaveri. Aver contribuito a metterle in contatto è stata un’emozione impagabile. 

Il padre ti ha pregato a quel punto di riportarle a casa, a Roma.
Me le ha letteralmente affidate. E come lui stesso ha ripetuto mi ha eletto a “secondo padre” attraverso un documento dell’ambasciata filippina.

Ma l’odissea non era finita. A quel punto il problema era riportarle a casa. E avete trovato più di un ostacolo.
Ho dovuto affrontare la partenza in un paio di giorni ma era difficilissimo trovare un aereo. Anzi vari aerei che, attraverso numerosi scali, ci avrebbero riportati a Roma. Quando la notte tra mercoledì e giovedì ho saputo che ci poteva essere posto in un aereo militare che partiva per scaricare attrezzature mi ci sono fiondato: l’aereo è atterrato e io sono entrato letteralmente in pista, ho aspettato che il portellone si aprisse e ho detto al pilota “lei ci deve portare via di qua!”  Dopo un paio d’ore siamo partiti per Cebu la seconda città delle filippine.

A Charlotte era scaduto il passaporto
Sì, ma sono riuscito a farglielo rinnovare grazie all’aiuto di Giovanni Bortorolo caporedattore politico di Tmnews di Roma, il collega che aveva fatto uscire l’agenzia sulle ragazze disperse.  E così abbiamo preso un aereo per Manila. Lì abbiamo atteso un altro volo per Dubai. Ma ad ogni scalo c’era il rischio di non partire. “Chi è lei?”, “Chi sono le bambine?” “Dove state andando e perché”. Attraversare l’Asia con due minorenni non era per nulla così facile.

Poi l’arrivo a Roma e l’incontro fra i genitori e le due ragazzine.
E’ stato il momento più emozionante. E non potevo non commuovermi mentre assistevo a quell’abbraccio, e alle lacrime. Un pianto di gioia e che arrivava alla fine di una grande tensione accumulata.

Tutto era sulle vostre spalle o avete avuto sostegno?
L’appoggio principale, e non lo dico certo per piaggeria, è arrivato dalla mia azienda, la Rai che, tra l’altro, si è fatta carico del viaggio delle due ragazze. E il sostegno di tutti i colleghi di Rainews24. La Rai c’è stata, in tutti i sensi.

Il Presidente della Camera Boldrini aveva lanciato per prima l’appello.
E’ vero. Anche perché dietro questa vicenda c’è il tema dello ius soli: queste due bambine sono nate a Roma! E da romano mi sono sentito ancora più in dovere di cercare di aiutare due concittadine in difficoltà!

Che valore ha questa vicenda dal punto di vista giornalistico?
Questa storia dimostra che per raccontare il mondo, che si tratti di Roma o delle Filippine, bisogna esserci. E fortunatamente l’azienda Rai e la mia testata, Rainews24, consentono ai giornalisti di essere sul posto e di raccontare le cose.

In più oltre a raccontare i fatti avete permesso a due genitori in forte apprensione di riabbracciare i figli.
Penso che qualsiasi persona con un minimo di sensibilità, giornalista o meno, di fronte alla preghiera di un padre che chiede aiuto per riportare a casa le figlie, avrebbe fatto lo stesso.

L’informazione si occupa a sufficienza dei mondi oscurati, delle crisi dimenticate?
Io sono un inviato di cronaca italiana. Dopo il naufragio a Lampedusa sono rimasto lì per un mese. Penso che il problema sia quello di aprire finestre sul mondo ma con lo sguardo giusto. Devi entrare in contatto con le persone in carne ed ossa. A Lampedusa con chi scappa dalla guerra o nelle Filippine per parlare con chi ha perso tutto.

Le Filippine si riprenderanno da questa tragedia che ha messo in ginocchio il Paese?
Sì! Sono un grande paese, pieno di giovani e di voglia di rialzare la testa. Ci vorrà molto tempo ma ce la faranno. Ovviamente serve l’aiuto della comunità internazionale.

Ci tornerai?
Non credo, a meno che non mi venga richiesto. Sono tornato a lavorare da pochi giorni. E quello che intendo fare adesso è continuare a descrivere le cose che vedo, ovunque accadono, con l’orgoglio di lavorare per il servizio pubblico.  Perché raccontare il mondo senza girare la testa dall’altra parte è la missione principale del servizio pubblico. 

http://www.ufficiostampa.rai.it/sfogliabile/101840/18352/index.html

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