STEFANO BOLLANI. Il virtuoso eclettico

“Voglio essere considerato – scriveva lo scrittore americano Jack Kerouac –  un poeta jazz che suona un lungo blues in una jam session d’una domenica pomeriggio”. L’espressione descrive a pieno un musicista come Stefano Bollani, un istrione, per dirla con Aznavour, per la versatilità che lo vede trasformarsi da jazzista compassato e tecnicamente ineccepibile a scanzonato imitatore, a disinvolto e stimolante romanziere”. Bollani  e’ ad Orvieto per Umbria Jazz Winter. Con un trio scandinavo. Simpatico, ironico parliamo con lui di jazz.

Come e’ nata questa collaborazione?

Li ho conosciuti nel 2004 nella freddissima Copenhagen mentre ero con Enrico Rava. Ho inciso con il trio gia’ due dischi per una etichetta scandinava ma in Italia le apparizioni con loro sono state poche, sei o sette concerti se non ricordo male.

Anche la Scandinavia si apre al jazz. Allora non e’ piu’ un genere musicale per pochi eletti…
Al contrario, e’ diventato quasi “di moda”. L’attenzione e’ cresciuta moltissimo negli ultimi anni. Magari e’ un fenomeno passeggero ma c’e’ sempre piu’ gente che ascolta jazz.

Tu ed altri musicisti come Danilo Rea, e lo stesso Enrico Rava, avete negli ultimi anni rielaborato in chiave jazz molti brani che appartengono ad altri patrimoni musicali. Dalla classica al pop. Pensi che questo abbia contribuito ad avvicinare la gente al jazz?
Non penso che abbiamo fatto niente di nuovo. D’altronde lo facevano gia’ gli americani negli anni ’40. Noi lo facciamo col “rock” piuttosto che con i brani del passato. Ma la formula e’ gia ampiamente sperimentata e probabilmente aiuta piu’ che altro ad avvicinare la gente al jazzista piuttosto che al jazz…
 
L’ultima volta che hai suonato ad Orvieto alla fine di un concerto hai preso carta e penna , tra lo stupore dei presenti, e hai chiesto al pubblico di indicarti dieci canzoni a piacere che tu avresti riproposto a modo tuo. Una formula originale ma pericolosa. Chissa’ quali richieste “stravaganti” ti arrivano…
Non piu’ di tante: il pubblico non e’ mai pronto a questa domanda e le prime cose che gli vengono in mente sono classici sullo stile di “yesterday” o “summertime”. L’altro giorno pero’ a Stoccarda uno mi ha chiesto un pezzo degli Ac Dc…

Che gli hai risposto?
L‘ho cacciato dalla sala!!!

A proposito di carta e penna, e’ appena uscito il tuo romanzo “la sindrome di Brontolo”. E’ un atto d’accusa contro gli italiani che si lamentano troppo, magari immotivatamente?
E’ un libro che va in molte direzioni ma questo in effetti e’ uno degli aspetti. La gente si lamenta per qualsiasi cosa perche’ sostanzialmente si annoia e invece dovrebbe brontolare e scendere in piazza per le cause piu’ giuste.
 
Sei un musicista jazz ma anche un cantante. E ora sei diventato un romanziere. Ci manca un disco da cantautore! E’ nei tuoi piani per il prossimo futuro?
Per adesso no (ma non si puo’ mai dire). Intanto mi cimento con la radio e dal 25 dicembre alle ore 13 faro’ su Radio3 un programma di musica con David Riondino. Ma non svelo i particolari…

La musica in radio tiene banco naturalmente. Ma perche’ di musica in televisione non se ne fa? Molti dicono che e’ un problema di ascolti, che la musica in tv non fa audience…
E’ una balla. E’ solo che non interessa ai “capoccioni” che dirigono la politica e i ministeri competenti (e le reti televisive). Una volta si facevano dei concerti jazz alle due di notte, orario piuttosto infelice, ma almeno, seppur accantonati in una fascia oraria assurda qualcuno poteva seguirli. Adesso niente. Gli archivi della Rai sono pieni di concerti straordinari e inediti.
E poi non si tratta di trasmettere semplicemente un concerto, c’e’ lo spazio per progetti divulgativi legati alla musica che a mio avviso riscuoterebbero un grande interesse. Come le straordinarie lezioni del grande compositore americano Leonard Bernstein che giacciono negli archivi senza essere trasmesse. E sono pure doppiate in italiano. Soldi spesi per niente… Purtroppo c’e’ scarsa cultura della musica nel nostro Paese e poca attenzione anche nei nostri governanti.

(Stefano Corradino – La Città)