Perché la gente scompare? Intervista a Pino Rinaldi, conduttore di “Chi l’ha visto – Storie”

Dal 15 luglio, per otto puntate è in onda su Rai3 “Chi l’ha visto – Storie”. E’ curato da Pino Rinaldi, veterano del programma fin dal 1990 – Chi l’ha visto nasce nel 1989 –  che quest’anno nell’edizione invernale della trasmissione ha guidato il gruppo dell’inchiesta sui casi di scomparsi e delitti irrisolti.

Di quali “storie” vi occuperete?
Raccontiamo storie di persone scomparse abbastanza recenti, ma anche vicende praticamente inedite di cui “Chi l’ha visto” non si è quasi mai occupato, perché riguardano un periodo precedente all’avvento del programma.

Scomparsi è sinonimo di delitti?
Spesso ma non sempre. In questo programma andiamo a scrutare un ambito che può essere indefinibile da un punto di vista materiale ma che concerne lo stato mentale. Mi spiego: nella prima puntata, ad esempio,  dovremmo parlare dei giovani ribelli. Ragazzi che a un certo punto della loro vita decidono di allontanarsi di casa. E lo fanno per ragioni diverse. Magari perché erano alle prese con lo studio e conseguivano risultati poco brillanti. E non ottemperando a quello che era il desiderio della madre o del padre sono scappati via, della serie “non sono come tu mi vuoi”… E allora noi cerchiamo di indagare i tanti perché di un allontanamento.

Meno spazio all’attualità e più all’approfondimento
Da una parte questa predilezione nasce da una necessità, dal momento che noi non siamo in diretta e quindi non abbiamo la possibilità di gestire settimana per settimana l’attualità ma al tempo stesso non affrontare il mero dato di cronaca è una scelta precisa. Nasce dalla volontà di capire perché la gente scompare, quali sono i meccanismi che inducono molte persone a fare un passo così disperato.

Le storie di scomparsi riguardano soprattutto i giovani?
Non solo. Scompaiono anche gli anziani e non perché siano rimbambiti o affetti da Alzheimer e si perdono. Molto spesso siamo in presenza di  un allontanamento volontario perché ci si sente soli. Figli, parenti, amici con i quali non si hanno più relazioni, la famiglia che se ne frega possono essere motivazioni per la fuga. Per alcuni aspetti la scomparsa è accomunabile al suicidio. E’ una dipartita simbolica perché scappare dagli altri è un po’ come morire. Una sorta di “morte bianca” non cruenta. Non c’è sangue ma la persona svanisce.

Quali altre cause della fuga avete individuato nelle vostre inchieste?
Ci sono persone che sono scomparse per la crisi economica, c’è la fuga dall’amore, donne e uomini che scappano per sfuggire alle loro responsabilità. O gente che sceglie la strada del misticismo…

Alcune storie hanno un epilogo felice?
Noi raccontiamo prevalentemente di persone che a tutt’oggi sono scomparse e di cui non sappiamo che fine abbiano fatto. Alcuni ovviamente ritornano come è accaduto ad un ragazzo scomparso a Milano che poi, dopo aver avuto addirittura contatti con la Legione Straniera francese è tornato a casa.

Una volta tornati confessano le ragioni della fuga?
Difficilmente vogliono parlare, c’è un lungo periodo di elaborazione.

Parlavi all’inizio delle storie precedenti all’avvento di “Chi l’ha visto”. Perché questa curiosità?
Sul sito di “Chi l’ha visto” abbiamo un archivio colossale degli scomparsi a partire dall’89, anno di nascita del programma. E allora mi sono chiesto quali fossero le storie precedenti, quelle degli anni settanta e ottanta e lì – non le anticipo perché le scoprirete guardando la trasmissione – ho scoperto che ci sono storie intriganti, veri e propri misteri.

Le potremmo definire “psicostorie”?
Diciamo che il dramma della scomparsa non è semplicemente la sparizione di una persona a cui hanno sparato o il cui cadavere non si trova. A volte stai vivendo una situazione psicologica talmente drammatica che ti ritrovi nella condizione di scomparso senza neanche accorgertene.

Questo tipo di approccio con il tema della scomparsa può essere utile per evitarne di nuove?
E’ quello che ci auguriamo profondamente. Ci piacerebbe che questo lavoro possa servire per dare una mano concreta alle famiglie fornendo loro informazioni e messaggi per alimentare e nutrire quel dialogo indispensabile ad impedire azioni così violente come quella di sparire. Facendo ragionare colui che è un potenziale, futuro scomparso. Se riuscissimo in questo intento anche solo con una persona evitando che possa generare dolore a sé stesso e ai propri cari sarebbe il più grande risultato che potremmo ottenere…

Intervista di Stefano Corradino pubblicata sul Radiocorriere Tv