ALEX ZANARDI: "Nello sport come nella vita non si finisce mai di imparare"

“Lo sport come non l’avete mai visto”. E’ lo slogan di “Sfide”, il programma in onda su Rai3 dal 1999. Agli esordi si parlava solo di calcio poi la trasmissione ha allargato i suoi orizzonti. Lunedì 9 settembre parte la nuova stagione, condotta per il secondo anno da Alex Zanardi, l’ex pilota automobilistico e campione olimpico di handbike. “La formula è sempre la stessa – racconta Zanardi al Tv Radiocorriere, ma non è mai un déjà vu e non si rischia di cadere nella monotonia. Sono belle storie dalle quali si rimane ogni volta affascinati. Donne e uomini che hanno superato grandi difficoltà e hanno vinto splendidamente le loro sfide. Con la vita prima ancora che con lo sport!

Cos’è la sfida per uno sportivo? Una gara per  vincere un trofeo o una competizione con sé stessi?
La gente immagina  che la grande sfida sia il momento finale in cui ci si gioca il campionato del mondo, la resa dei conti. In realtà, per ogni sportivo vero, la sfida non è arrivare a giocarsi l’evento importante, quello che ti fa conquistare i titoli sui giornali. La vera sfida è all’inizio, quando cominci a fare sport, e magari riesci a convincere un genitore perplesso! Ed è vera sfida quando riesci a superare tutti gli ostacoli, che spesso per molti ragazzi sono anche di carattere economico. Mettiamo che vuoi fare il pilota. La moto è costosa. Se non hai il talento non ti danno la moto e se non ti danno la moto non sei in grado di dimostrare le tue capacità.

Si può dire pertanto che “Sfide”, più che raccontare i successi parla del superamento delle difficoltà?
Assolutamente!  Nello sport, così come nella vita, non si finisce mai di imparare. “Sfide” racconta degli ostacoli che ha dovuto superare chi voleva fare uno sport e ci credeva fino in fondo. La sfida è un percorso quotidiano, non è la gara della vita ma è il tragitto per arrivare alla gara della vita. 

Un’idea pulita, genuina e virtuosa dello sport, eppure purtroppo non è per tutti così. Prendiamo il ciclismo, ormai se ne parla quasi esclusivamente per il doping.
E’ vero ma bisogna fare attenzione: il ciclismo è sotto l’occhio del ciclone perché oggi si fanno i controlli e finché non si facevano sembrava che il doping non esistesse. Ora che sono cominciate le verifiche a tappeto tutto viene fuori. Ci sono però tanti altri sport. Il mio non vuole essere un atto d’accusa ma c’è ancora tanto lavoro da fare!

Perché si ricorre al doping? Per una facile scorciatoia verso il successo?
Premesso che a nessuno piace arrivare secondo, quando sai di poter vincere, ciò che fa davvero la differenza è la passione. Se un ragazzo sogna di poter arrivare a grandi risultati perché, per esempio, ama andare in bicicletta, è molto probabile che quei risultati saranno per lui possibili. Se andare in bicicletta è invece l’unico modo di realizzare il suo sogno ma pedalare è per lui solo un sacrificio allora quella non è vera passione.

Magari a vent’anni sei attratto dal successo facile e ti lasci convincere che quella del doping è la strada più breve per raggiungere la notorietà.
E’ per questo che accanto ad un atleta ci dovrebbe essere sempre una persona con i capelli bianchi che invece di convincerlo a prendere la scorciatoia per diventare campione, “tanto lo fanno tutti”, dovrebbe dirgli “guarda: se ciò questo che stai facendolo lo vivi solo come una fatica cambia sport, fai qualcos‘altro nella vita. Non è scritto da nessuna parte che per essere felice devi diventare campione del mondo”.
Quando Gimondi si rese conto di avere a che fare con un “cannibale” come Eddy Merckx disse “posso fare il mio servizio anche da secondo o da terzo, o anche da decimo, l’importante è farlo al meglio delle proprie capacità”. E proprio per la passione per la bicicletta e la forza di dare comunque il meglio di sé, alla fine, nel momento più inaspettato lui beffa Merckx  al Giro e addirittura al Tour.
L’aspetto più bello è nel piacere di tentare. Dimostrare che un risultato ottenuto, sia esso il primo o ventesimo posto è stato conquistato con la forza dei propri muscoli e del proprio sacrifico, ti dona una gioia ineguagliabile. Un risultato rubato, al contrario, può regalarti un attimo di apparente felicità salvo poi, nel corso del tempo, ricordarti che quella vittoria l’hai portata a casa non perché amavi ciò che stavi facendo ma solo perché il tuo obiettivo erano i soldi, una bella macchina, una show girl…

 “Prima di essere campioni siate uomini, portatori di umanità” ha detto di recente Papa Francesco alla nazionale di calcio.
Il papa ha perfettamente ragione ma questo messaggio bisognerebbe lanciarlo anche a tutti coloro che stanno a lato dello sport. A vent’anni è facile sbagliare perche ti raccontano una cosa e ci credi. A quaranta hai già una capacità di analisi ma magari non hai più le braccia e le gambe adatte. Per questo le persone che lo sport lo gestiscono dovrebbero dire ai ragazzi senza mezzi termini: “non c’è scritto da nessuna parte che se non ti dopi, se non fai uso di anfetamine e ormoni della crescita non arrivi. Ci si può riuscire comunque. E in ogni caso anche se non ci dovessi riuscire non è la fine del mondo, ci hai provato con tutte le tue forze, lealmente, con onore e qualsiasi risultato porterai a casa ti darà il diritto di sentirti un vincente.

Bisognerebbe restare con lo stesso spirito di quando si è ragazzini e si corre dietro un pallone per il semplice piacere di farlo.
E’ così, e in fondo quando vai ad analizzare bene le storie dei grandi campioni il comune denominatore è sempre la passione, vera, vitale, disinteressata. Io ragazzino mi ci sento ancora. Facevo il pilota poi mi sono inventato di fare il ciclista e la prima cosa che ho fatto di recente la mattina dopo un mondiale (che ha vinto, ndr) è prendere la bicicletta e fare un giro per riflettere su quella competizione. In bicicletta per chilometri e chilometri solo perché mi piace. Penso di aver vinto il mondiale perché amo andare in bike e di conseguenza ho fatto tutto quello che serviva per arrivare al risultato. Se avessi cominciato a pedalare solo per vincere una competizione o per fare risultati eclatanti non sarei arrivato da nessuna parte.

Per la prima puntata di “Sfide” la scelta è caduta su Mennea. Perché?
Mennea era un “marziano”. Senza il fisico da macchina da guerra che hanno oggi certi atleti ha fatto risultati sorprendenti. Lui la sfida l’ha vinta principalmente di testa. Con la convinzione di poter dimostrare il suo valore prima a se stesso che agli altri. E così, a dispetto del suo fisico minuto ha stabilito un record imbattuto per molti anni (200 metri piani con il tempo di 19″72 e detentore del primato mondiale della specialità dal 1979 al 1996, ndr). Quella di Mennea è una storia bellissima. 

Mennea oltre ad essere un campione olimpico si è anche buttato in politica (eletto deputato europeo nel 1999). E’ lunga la lista degli sportivi che hanno deciso di candidarsi e hanno svolto incarichi istituzionali. Mai pensato alla carriera politica? Tra l’altro lo scorso anno un nutrito gruppo di persone ha lanciato anche la candidatura “Alex Zanardi senatore a vita”.
Francamente non so cosa potrà succedere in futuro nella mia vita. Del resto, quando facevo il pilota, se qualcuno mi avesse detto che mi sarei potuto trovare alle olimpiadi gli avrei chiesto cosa si era fumato! Quindi tutto è possibile. Tuttavia in questo momento sento che il coinvolgimento diretto in politica sia una prospettiva molto lontana dalle mie inclinazioni. Penso che la politica debba essere un impegno totalizzante, che non si può fare per soddisfare sé stessi o avere un tornaconto personale. La politica andrebbe affrontata con grande passione, con un forte senso di responsabilità a cospetto del compito che ti è stato affidato. E sono sincero quando dico di non essere nemmeno vagamente vicino a poter assolvere adeguatamente a questo compito importante. Un giorno chissà… 

 

  • Segui Stefano Corradino su twitter
  • Segui Stefano Corradino su Facebook
  • http://www.ufficiostampa.rai.it/sfogliabile/99429/18315/index.html