GIOVANNI ANVERSA (Racconti di vita)

“Apriamo la porta al silenzio del disagio”
a cura di Stefano Corradino (www.raitre.rai.it)

Partire da vicende individuali per interrogarsi su fenomeni sociali di stringente attualità. E’ la mission di “Racconti di vita” il programma di Raitre ideato e curato da Giovanni Anversa che dopo l’edizione domenicale recentemente conclusa torna in onda dal 2 maggio, ogni lunedì, in seconda serata. Un format senza retorica e – come afferma il giornalista e autore televisivo – “con alcuni momenti di vera poesia”.
 
Prostituzione, anziani, degrado sociale, lavoro precario. Sono numerosi i temi che “Racconti di vita” ha proposto nelle edizioni 2004 e 2005. Storie che parlano della difficoltà della vita quotidiana di alcune categorie di persone meno privilegiate o in molti casi che vivono situazioni disperate e al limite della sopravvivenza. La storia di uno come storia di tutti. E’ questa la filosofia della trasmissione?
Il principio ispiratore di “Racconti di vita” è quello di mettere in relazione aspetti individuali e esperienze collettive. Ci concentriamo su alcuni soggetti e poi si finisce per raccontare la storia di una comunità.

Su quali casi avete lavorato?
Proprio in questo momento sono al montaggio. Mi scorrono davanti le immagini di alcune delle storie che compongono le otto puntate dell’edizione che inizia il 2 maggio. I ragazzi di una squadra di basket in carrozzina, le esperienze di lavoro di un gruppo di down, i volontari di pubblica assistenza, le detenute di un carcere femminile, pazienti psichiatrici che vengono reinseriti nel contesto sociale… Nel grande mondo della solidarietà sociale queste sono risposte collettive al disagio individuale. Individuale e sociale diventano pertanto strettamente connessi.

Affrontare temi così delicati necessiterà di un lavoro lungo alle spalle. E non sarà sempre facile guadagnare la fiducia delle donne e degli uomini che intervistate o di cui seguite la difficile vita quotidiana.
Lavoriamo ai vari casi dallo scorso settembre. Proprio perché, per conoscere fino in fondo una realtà devi viverla, e stabilire contatti umani veri. Si resta in ciascuna realtà anche tre o quattro settimane. Ci si mette in gioco completamente. Perché quando entri in casa di altre persone devi farti conoscere e accogliere. Così un documento filmato diventa il frutto di una relazione umana e del rispetto delle esperienze altrui.

Lei è giornalista e autore televisivo ma anche laureato in sociologia. Qual è la sua fotografia dell’Italia di oggi dal punto di vista sociale?
L’Italia e’ un Paese che deve risolvere problemi antichi e saper leggere i problemi nuovi della transizione. Un Paese che deve ritrovare momenti di ricomposizione e deve fare uno sforzo politico, culturale ed economico per ricostruire i pilastri di una nuova dimensione dello stato sociale.

Un tema a cui si sente particolarmente sensibile?
Le questioni legate alla precarietà. Con questa edizione abbiamo rilevato e dimostrato che il tema del “sociale” non e’ solo identificabile con il disagio estremo ma colpisce fasce e categorie “insospettabili”, apparentemente normali: un monoreddito sfrattato che non sa come dare risposta alla famiglia, un’ex top manager che non arriva a sbarcare il lunario… Le fratture della normalità sono quelle che dovrebbero preoccuparci maggiormente. C’è un Paese che non emerge, persone e situazioni che sappiamo esistere ma che vengono ancora poco rappresentate.

“Racconti di vita” le rappresenta?
Non solo “Racconti di vita”. Raitre è una canale che cerca di spiegare con attenzione cosa succede in questo Paese. E questo programma si incardina positivamente nella linea di racconto della terza rete. Sono contento di essere in questa “casa” perché ci sentiamo parte del mosaico.

Come reagisce il pubblico?

Mi sembra bene. Forse perché raccontiamo la realtà vera. E la realtà viene descritta senza “flirtarci” troppo, ma rappresentandola per quello che è.
Lo dimostrano anche i dati d’ascolto: abbiamo chiuso l’edizione domenicale con una media di 600mila telespettatori.