PETER FREEMAN (Verba volant)

“Staniamo i ‘killer’ del linguaggio”
a cura di Stefano Corradino (www.raitre.rai.it)

Va in onda dal martedì al venerdì alle 9:05 del mattino. È una striscia di soli cinque minuti ma dal taglio originale e attuale. Parliamo di “Verba Volant”, il programma ideato e curato da Alessandro Robecchi e Peter Freeman.
 
Un programma sul linguaggio. Come è nata questa idea?
L’idea nasce lavorando ai corsivi per Ballarò: i nostri servizi sono realizzati unendo ai testi numerose immagini tratte, in parte dall’attualità e in parte dal cinema o dalla fiction.

Regole da rispettare?
È stato un esperimento molto innovativo, ma la rete ci ha dato un’assoluta libertà di espressione.

Cinque minuti al giorno per analizzare il significato delle parole che sono entrate nella “vulgata” comune. Come cambia il linguaggio?
Il linguaggio è lo specchio dei mutamenti della società. E dal momento che la società cambia a ritmi vertiginosi gli effetti si determinano anche sulle parole.

Qualche esempio.
La parola “navigazione”. Il suo significato è antico come il mondo. Adesso quando si utilizza questo termine il pensiero cade automaticamente sulla consultazione della rete internet.

Un altro.
Il termine pubblico. Abbiamo fatto alcune interviste in un mercato. Quelli della mia generazione, i più “vecchi”, associano la parola “pubblico” alla proprietà, con un’accezione quindi politico-economica. Per i giovani pubblico fa rima con audience…

Come valuti questa diversa interpretazione delle parole? è un segno dei tempi o un campanello d’allarme?
Noi viviamo in una società massificata e ne consegue che si massifica anche il linguaggio. Il senso del nostro lavoro è pertanto anche quello di tentare di recuperare il significato originario delle parole, andare all’etimo del linguaggio.

Ogni anno i dizionari vengono aggiornati con centinaia di neologismi, eppure il linguaggio comune non sembra granchè arricchito.
Altro che arricchito. Si è impoverito miseramente. Trent’anni fa il numero delle parole utilizzate nelle conversazioni era il doppio. Se si sente parlare una persona anziana ci sembra che utilizzi parole vetuste, desuete. E non è così. Siamo noi che abbiamo tristemente ristretto il nostro vocabolario.

La televisione, i giornali, internet, contribuiscono a questa sorta di “imbarbarimento” del linguaggio?
Di sicuro non aiutano. Penso ai giornali. Una volta titoli e catenacci oltre a rispondere alle regole grafiche dell’impaginazione venivano fatti con l’obiettivo di spiegare accuratamente il tema in oggetto. Adesso alcune parole sembrano buone per tutte le occasioni. Soprattutto quelle mutuate dal linguaggio americano. Killer ad esempio.

Killer?
Bottiglietta killer, virus killer, smog killer… Quando i giornali ci possono infilare questa parola sembrano aver risolto ogni problema di titolazione…

C’è anche un problema di brevità, di sintesi estrema condizionata dalle nuove tecnologie. Nei 160 caratteri di un sms sei costretto ad essere conciso.
L’sms è come un telegramma.

Sì ma di telegrammi se ne mandano pochi.
Ne ho mandati negli ultimi anni solo per le condoglianze.

Mentre di sms se ne inviano milioni al giorno.
È vero ma il problema non è la brevità. È il senso, il significato delle parole ciò che conta. Questa è una società che sposta il senso e modifica il significato.

Torniamo al programma. Perchè cinque minuti?
Inizialmente pensavamo ad una puntata settimanale di 25 minuti poi verificando le due opzioni abbiamo visto che cinque al giorno funzionano di più.

Come nasce una puntata?
Siamo una catena di montaggio. Alessandro Robecchi generalmente individua i testi, a quel punto li “sceneggiamo” e dall’archivio cerchiamo di tirare fuori il meglio per completare il prodotto.

Quale archivio?
Le Teche Rai, una fonte inesauribile e fondamentale di informazioni.

Il programma finisce a giugno. E poi?
Dovrebbe terminare verso la metà del mese. Poi sarebbe bello “serializzarlo”. Un programma specifico sul lessico. Senza ovviamente pretese di scientificità. Siamo giornalisti d’altronde…