4 novembre 2008/8 novembre 2016. Otto anni di presidenza di Barack Obama, il primo afroamericano alla guida della principale superpotenza mondiale. L’economia americana cresce e la disoccupazione cala confermano i principali osservatori e questo potrebbe deporre a favore del prossimo candidato (o probabilmente candidata) democratico alla Casa Bianca. Ma alcune promesse, soprattutto in politica estera non sono state mantenute e questo potrebbe pesare negativamente sull’orgoglio dell’opinione pubblica. Ne parliamo con Antonio Di Bella, giornalista Rai che in America è stato a lungo inviato e corrispondente. Con lui tracciamo un bilancio di luci ed ombre della presidenza Obama con un occhio rivolto alle presidenziali del 2016.
Come giudichi questi sette anni di presidenza Obama? Il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto?
Li giudico positivamente. In Italia le attese e le aspettative, soprattutto per chi milita a sinistra non sono state ripagate ma io che ho vissuto in America per tanti anni so che non si può interpretare Obama con le categorie europee della sinistra. Obama è un pragmatico democratico come era Clinton. Un riformista centrista per tradurlo all’europea. Per cui per me il bicchiere è mezzo piano. Non mi ha deluso, al contrario penso abbia fatto molto e che molto altro abbia tentato di fare.
Gli aspetti positivi della sua amministrazione riguardano la politica interna o quella estera?
Entrambi. L’inflazione è scesa e l’economia è ripartita. Avercene di dati economici in Europa come quelli americani! E la riforma sanitaria ridà giustizia sociale ad ampi strati della popolazione che prima non potevano beneficiarne. Per quanto riguarda la politica estera ha fatto due aperture storiche: Iran e Cuba. La sua frase “Todos somos americanos” pronunciata a Cuba rimarrà nei libri di storia del futuro. Ma anche l’apertura con l’Iran, che ha provocato tante critiche e frizioni con Israele. E sappiamo bene quanto pesi la lobby israeliana che lui ha avuto il coraggio di sfidare ribadendo il concetto di “due popoli, due stati”.
Una distanza siderale con la politica del suo predecessore?
Indubbiamente. Non dimentichiamoci che Bush voleva esportare la democrazia con le armi facendo operazioni come quella irachena che ha lasciato le conseguenze che tutti conosciamo. Isis su tutti. Di Obama bisogna considerare non solo le cose buone che ha fatto ma anche le cose cattive che non ha fatto. Una politica meno muscolare rispetto al passato. E’ stato a un passo dal bombardare Assad – quando anche la Francia era pronta ad allinearsi nell’intervento – ma poi non l’ha fatto. Ed ora capiamo che è stato giusto così altrimenti avrebbe innescato una reazione clamorosa con Mosca e con l’Iran. Ha avviato un orizzonte diplomatico di lungo respiro tutt’altro che facile che però rappresenterà un’eredità importante per chi verrà dopo di lui.
Sono in molti però a sostenere che in alcuni settori la sua politica è stata inefficace. Ivi compresa la riforma sanitaria di cui parlavi. Pesa il fatto che non aveva una maggioranza schiacciante in Congresso?
Certo che poteva fare di più sulla riforma sanitaria ma penso abbia fatto molto soprattutto considerando il peso delle potentissime lobby sanitarie che influenzano fortemente il parlamento. Un altro esempio è quello delle armi: Obama ha provato in mille modi a frenarne la diffusione ma la potentissima e ricchissima lobby National Rifle Association (NRA) è sempre riuscita a fermarlo.
Ci sono tanti smacchi che ha subito. Uno per tutti è il riscatto degli afroamericani che vedevano in lui l’uomo che poteva cambiare la situazione. Ma non basta un presidente, ci vogliono generazioni per cambiare lo stato sociale delle banlieu americane, per dirlo alla francese. Questa sofferenza è uno smacco che pesa sulla sua coscienza ma non si può dire che lui non abbia fatto di tutto per cambiare la situazione.
L’8 novembre del prossimo anno si terranno le elezioni per scegliere il quarantacinquesimo presidente Usa. Hillary Clinton è la favorita?
Credo di sì e sarà l’erede naturale per continuare sulla strada tracciata da Obama e per portare a compimento ciò che l’attuale presidente ha avviato. E spero sia così. Ovviamente l’America ci ha abituato a grandi soprese e ogni elezione ha qualcosa di insondabile.
Quanto possono pesare le promesse non mantenute dall’amministrazione Obama, vedi la mancata chiusura di Guantanamo?
E’ uno dei punti oscuri della sua presidenza insieme alla mancata risoluzione del problema siriano o al mancato ritiro delle truppe in Afghanistan. E questo potrebbe essere recepito come una debolezza rispetto ai grandi competitori internazionali come Russia e Cina. Putin sembra schiaffeggiare Obama in Medioriente e in Ucraina e la Cina sembra dominare il Pacifico. Ciò potrebbe pesare sull’orgoglio dell’opinione pubblica che vuole vedere sempre l’America come dominatrice del mondo. Ma io al contrario ritengo che sia un aspetto positivo quello di non ricorrere a bombardieri e portaerei per privilegiare soft power e democrazia.
Quali saranno le parole chiavi in campagna elettorale dei rispettivi candidati?
Economia e sicurezza. E da questo punto di vista i democratici possono giocare buone carte: l’economia è in risalita, la disoccupazione in discesa e loro sono forti di una vittoria sul terrorismo. Non dimentichiamoci che Bin Laden e tanti membri di Al Qaeda sono stati eliminati sotto la presidenza Obama, sia pur con metodi discutibili (sarebbero dovuti essere processati) e questa è una guerra vinta che peserà in campagna elettorale.
Il candidato repubblicano sarà un altro erede della dinastia Bush?
E’ possibile, oppure potrebbe emergere un personaggio alla Rubio (attuale senatore della Florida, ndr), rappresentante di quella minoranza che aspira, dopo un afroamericano, ad avere un sudamericano alla Casa Bianca.
I media che ruolo giocano? Da che parte stanno?
Reagan costruì una serie di centri di potere dell’informazione la cui onda lunga arriva fino a Bush, con il sostegno della Fox. I principali media sono ancora legati all’establishment economico e, almeno per quanto riguarda tv e radio sono tutt’altro che favorevoli ai democratici. Tuttavia i media tradizionali sono stati scavalcati da internet e in questo Obama ha dimostrato con grande lungimiranza di saltare a piè pari le lobby dell’informazione televisiva per stabilire con l’elettorato un rapporto diretto via internet. Io stesso che sono abbonato al network di Obama comincio già adesso ad essere bombardato sul mio telefonino e via mail da richieste di finanziamento e appuntamenti per cene elettorali. Questo dimostra come internet scavalchi qualsiasi altro media e sia una delle chiavi per il contatto con l’elettorato del futuro.
Fonte: intervista di Stefano Corradino pubblicata sul Radiocorriere tv