Attentati Parigi: “non cediamo alle strumentalizzazioni”. Intervista a David Sassoli

Guerra o azione politico-diplomatica? Il dibattito politico sulle soluzioni da adottare dopo gli attentati di Parigi si accende anche tra gli scranni del parlamento Ue. Ne parliamo con David Sassoli, vicepresidente del Parlamento Europeo con delega per le politiche del Mediterraneo. A Sassoli, giornalista ed ex volto Rai abbiamo anche chiesto un’opinione sul ruolo dell’informazione e dei media in questa delicata situazione: “ho letto e ascoltato parole squinternate”.

Quale atteggiamento deve assumere l’Unione europea di fronte alla situazione che si è determinata dopo i fatti drammatici di Parigi?
Dobbiamo lavorare su almeno due livelli. Il primo è la risposta da dare agli attacchi terroristici e in questo caso si tratta di far funzionare la polizia, i coordinamenti di intelligence… Perché questi attentati rientrano in azioni espressamente militari: l’air bus russo, l’autobomba alla periferia di Beirut… Sono stati colpiti paesi che sono direttamente interessati al conflitto siriano. Il secondo riguarda la necessità di lavorare a medio e lungo termine. Il problema dell’esercito europeo deve essere un argomento all’ordine del giorno non più rinviabile.

Per un continente tenere in piedi ventotto eserciti nazionali rappresenta anche un costo non indifferente…
Indubbiamente. Dopo gli Usa siamo il Paese nel mondo che spende di più per la difesa militare ma non siamo certo la seconda potenza militare nel mondo…  Quindi è necessario razionalizzare e rendere la spesa più efficiente. L’esercito europeo serve anche per avere una politica estera più forte. Come elemento di deterrenza, non solo di intervento.

Non si corre il rischio di circoscrivere l’azione internazionale a un intervento militare?
Indubbiamente. E su questo punto la penso come il governo italiano: non è sufficiente un’azione militare per risolvere il problema dell’Isis. Ma dal problema militare non si può prescindere perché ci troviamo di fronte a una centrale terroristica che ha occupato due stati e che vuole costruirne uno proprio, che esporta terrorismo e che a casa loro sta effettuando un genocidio. Sono stato in Libano, un paese grande quanto l’Abruzzo, con quattro milioni di abitanti e un milione di profughi. Nella valle della Bekaa vivono in condizioni disperate famiglie normalissime di ceto medio siriano. O torneranno a casa loro oppure la loro unica speranza sarà di venire in Europa. E la stessa cosa vale per la Giordania, un paese che militarmente sta tenendo il punto rispetto al conflitto siriano ma che nello stesso tempo si trova a dover far fronte a tre milioni di rifugiati e con le casse dello stato sempre più vuote. Sono paesi amici che soffrono il conflitto e che noi dobbiamo sostenere con molta più decisione e anche con più risorse.

L’attuale situazione rischia di farci fare un passo indietro sulle politiche di integrazione?
L’Isis non vuole l’integrazione e la contrasterà sempre e per questo ha fatto bene il presidente Hollande nel dire al parlamento francese che sulle politiche dell’integrazione non si torna indietro. Tra l’altro vorrei sottolineare che gli attentati a Parigi sono avvenuti in arrondissement tradizionalmente di sinistra in cui da sempre si sperimentano meccanismi virtuosi di integrazione. Non è un caso che l’Isis abbia colpito in questi luoghi…

Da giornalista ed ex volto Rai qual è a tuo avviso l’atteggiamento della stampa italiana e dei media in questo momento?
C’è un dibattito molto articolato ma mi sembra spesso appiattito nel tentativo di portare queste vicende sul piano “domestico”. Ho letto e ascoltato parole squinternate in cui si equiparano i migranti ai terroristi. Una strumentalizzazione che non aiuta affatto la gente a riordinare i fatti e a farsi un’opinione corretta.

Intervista di Stefano Corradino pubblicato sul Radiocorriere Tv