DOMENICO IANNACONE: "Dieci comandamenti… per capire come siamo diventati"

“I dieci comandamenti”. Il decalogo dettato dalla Bibbia, con tutta la sua forza evocativa, è la chiave scelta dal giornalista Domenico Iannacone per raccontare le vite degli altri, immergendosi in prima persona nelle storie girate quasi in presa diretta:Cerchiamo di affrontare temi complessi in una chiave popolare e narrativa, con un linguaggio che mescola l’inchiesta giornalistica, il documentario e l’espressione cinematografica”. In tutto dieci puntate, una per ciascun comandamento tutti i lunedì fino al 15 luglio nella seconda serata di Rai3.

Come nasce l’idea dei “Dieci comandamenti”, che immaginiamo non sia una trasmissione spirituale?
Prende spunto da un tema religioso, ma in realtà è un programma molto laico e aperto alla società. Se dovessi sintetizzarlo in due parole, direi che è un’inchiesta morale, un attraversamento nella società italiana con uno sguardo di chi vuole capire meglio a che punto siamo arrivati.

Lei ha fatto per lungo tempo il giornalista d’inchiesta, quel tipo di inchiesta che ha bisogno di individuare dei colpevoli, che si sono macchiati di specifiche responsabilità. Cosa c’è di diverso in questo programma?
Il mio è un viaggio di osservazione, perché abbiamo perso di vista la possibilità di capire cosa ci succede attorno. Benché a volte siamo riusciti a scoprire alcune cose, poi niente è cambiato. Ma è la società stessa ad essere mutata e quindi è necessario capire cosa siamo diventati.

Per i cristiani il decalogo rappresenta la summa dei valori morali che si devono scrupolosamente onorare. Il “buon” cristiano è quello che li rispetta ed è “cattivo” quello che li disattende. Vale anche per  la sua versione laica?
Non è nostra intenzione dare un giudizio di tipo morale, dare un valore di “giusto” o “sbagliato” ai comportamenti. Cerchiamo di guardare a distanza. Io sono un osservatore privilegiato perché vado tra le persone e racconto quello che succede, ma con uno sguardo distaccato.

Come si configura questo viaggio? Rispettando l’ordine canonico dei comandamenti?
No. E’ in ordine sparso, non è quello che Mosé ha dato alle sue tavole. Come a dire che non c’è un comandamento più importante degli altri. Abbiamo cominciato con “non commettere atti impuri”, raccontando la storia di Massimiliano Ulivieri, un blogger di successo che vive su una sedia a rotelle e che si sta battendo affinché venga riconosciuta in Italia la figura dell’”assistente sessuale”. E’ l’istanza di una minoranza, ma esiste e riguarda il riconoscimento del diritto alla sessualità anche tra le persone che hanno un handicap. Massimiliano è sposato con una normodotata, una ragazza bellissima che abbiamo intervistato, ma il suo approccio è quello di chi si batte per una causa e ci porta in quel mondo con una sensibilità straordinaria.

In questo caso, è un atto più puro che impuro…
Esattamente, qui si rivela il contrasto. Ma atto impuro è anche, ad esempio, quello perpetrato nei confronti della terra se la si avvelena inquinandola. E a chiarire questo aspetto ci ha aiutato il prete di Caivano, don Maurizio Patriciello, che ci ha guidato nella “terra dei fuochi”, un pezzo di Campania che sta morendo tra i rifiuti ammassati ovunque e i roghi.

Andiamo avanti: la puntata del 20 maggio è “ricordati di santificare le feste”. Come si affronta questo tema laicamente?
Abbiamo messo in contrapposizione Rosarno, dove sono stato a gennaio mentre gli immigrati erano accampati in condizioni quasi brutali, con Predappio nel novantennale della marcia su Roma. Due mondi opposti e all’interno alcune figure quasi eroiche della società. Come quell’uomo che si è comprato un pullman e, come puro gesto di volontariato e solidarietà, accompagna le persone più in difficoltà tre volte a settimana. Uno spirito di accoglienza che va oltre le leggi, la politica e lo Stato. 

“Non rubare” è un altro caposaldo del decalogo, ma è anche un tema molto attuale dal punto di vista politico-economico…
Anche qui abbiamo tentato di affrontare il tema con una chiave originale: lo abbiamo fatto dal punto di vista delle imprese e della loro difficile sussistenza. Abbiamo raccontato di una fabbrica che si sposterà dalla Lombardia alla Moldavia, fotografando la vicenda umana dei lavoratori, ma anche immortalando lo sradicamento dei macchinari e il suo valore simbolico…

Qual è il quadro che si delinea dall’insieme di queste inchieste socio-morali?
Ne emerge uno spaccato di grande spaesamento e, al tempo stesso, affiora lo slancio di chi vuole ricostruire un circuito virtuoso fatto di etica e moralità. Gente normale che resiste e non si perde d’animo.

Che tipo di accoglienza ha trovato nelle persone intervistate? Un atteggiamento disponibile o diffidente?
Una diffidenza frequente, come quella che ho riscontrato  per la puntata dal titolo “Non desiderare la roba d’altri” in cui ho ripreso a Roma una doppia occupazione simultanea di trecento persone in un albergo a quattro stelle sulla Prenestina, che non è mai partito e in un palazzo ex sede Inail vicino alla stazione Termini. Lì è stato difficile entrare: quelle persone non si fidano più della televisione.

E hanno ragione a non fidarsi?
Spesso sì. La tv ha perso la sua funzione di racconto e di ricerca della verità. Noi facciamo un mestiere a volte barbaro. Ogni cosa la frammentiamo, la facciamo diventare poltiglia. Gran parte delle persone pensano che la tv sia diventata un tritacarne: si prende una parola e se ne buttano dieci. Per questo ho voluto trascorrere con loro molto tempo per entrare pian piano in sintonia e penso ne sia venuto fuori un ritratto più rilassato e quindi più veritiero.

Non ha pensato di calare i “dieci comandamenti”  nel  mondo politico?
Ci abbiamo pensato: in effetti  la mistica religiosa, l’invocazione “io sono il signore dio tuo” trovano esempi terreni molto concreti…  

(intervista di Stefano Corradino per il Radiocorriere Tv)

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